Omelia per l’Inizio del Ministero Episcopale

San Miniato, chiesa Cattedrale, ore 17.30
26-02-2023

 

Inizio queste parole con un saluto pieno di gratitudine ai signori Cardinali, ai miei fratelli Vescovi — e tra loro nomino solo il mio Vescovo Giuseppe Betori e Mons. Andrea Migliavacca mio predecessore, da cui ho appena ricevuto il pastorale — ai sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose (tra loro le monache di clausura dei nostri monasteri, presenza silenziosa ma fondamentale), i fedeli tutti con le loro associazioni e confraternite. Saluto — altrettanto grato — le autorità civili e militari, sindaci, prefetti, funzionari dello stato, degli enti pubblici e delle forze di polizia, dell’esercito nei vari corpi qui presenti. Infine saluto tutto il grande e prezioso mondo della società civile e dell’economia, fondazioni, associazioni, enti culturali e del volontariato che con la loro opera tessono le reti umane di questo meraviglioso corpo sociale e religioso che compone la diocesi di San Miniato.

Carissimi fratelli e — da oggi — anche figli in Cristo (non per mio merito, ma per il ministero affidatomi dalla Chiesa), iniziamo insieme questo cammino nuovo proprio all’inizio della Quaresima.

Abbiamo ascoltato il racconto della creazione e del peccato originale dal libro della Genesi e il Vangelo delle tentazioni, che dà il senso sia della durata di questo tempo di conversione (quaranta giorni come quelli di Gesù nel deserto) ma soprattutto della battaglia spirituale a cui siamo invitati. Parlare di battaglia, di combattimento, in questi giorni segnati dall’anniversario dell’invasione e della orrenda e folle guerra in Ucraina, può sembrare inopportuno, mentre desideriamo e cerchiamo la pace, ma sono invece le parole, battaglia, combattimento, che ci aiutano a capire a che livello si gioca anche la vera campagna per la pace e per il superamento di ogni logica di violenza e di guerra.

Proviamo a entrare in questa sfida che la parola di Dio ci presenta.

Lo facciamo con l’aiuto di un grande figlio di questa Chiesa, il servo di Dio don Divo Barsotti. Diceva nel 1984:

“Il Vangelo delle tentazioni di Gesù ci riguarda in un modo specialissimo perché se il mistero cristiano è il combattimento di Dio contro le potenze, e delle potenze del maligno contro Dio, (…) il campo di battaglia è il cuore dell’uomo, di ogni uomo”. (DIVO BARSOTTI, Ritiro, 13 marzo 1984 – Biella cfr https://kairosterzomillennio.blogspot.com/2012/02/il-demonio-e-le­tentazioni.html

La battaglia vera si gioca nel cuore dell’uomo.

Infatti cosa succede nel dialogo tra Gesù e il diavolo che lo tenta? Si confrontano due concezioni della vita, e perciò del mondo e della storia.

Quella del tentatore che propone come ultimo obiettivo della vita la soddisfazione come affermazione di sé e del proprio potere e quella di Gesù che invece concepisce sé e la pienezza della propria esistenza, nell’appartenenza e nell’obbedienza al Padre.

Come ci fa intuire Barsotti, la Quaresima “segno sacramentale della nostra conversione” non è perciò il tempo di uno sforzo morale (o forse dovrei dire moralistico) per migliorarsi, per non cedere alle lusinghe dell’istinto, del potere, del piacere, ma qualcosa di molto più radicale.

metanoia, cambiamento della mente, della concezione di sé: affermare se stessi come ultimo signore della propria vita o concepire se stessi come creatura e quindi in una dipendenza cercata e vissuta dal Dio che ci crea in ogni istante. L’autonomia assoluta appare attraente, ma sia il vangelo che la Genesi, nel suo racconto mitico ma vero, ci mostrano la sua impossibilità: noi dipendiamo, non siamo padroni assoluti.

Dovrebbe essere così chiaro, e quasi ironico solo pensarlo. Quante volte scappa un risolino in noi, quando sentiamo qualcuno dire con fierezza: “Io mi sono fatto da solo!” Verrebbe da dirgli: “Hai deciso tu di nascere? Di non avere disabilità, di non ammalarti, di non subire incidenti…”e così via. O dipendiamo dall’unico Signore che fa tutto per amore (colpiscono i verbi del testo della Genesi riferiti a Dio: “Il Signore Dio plasmò l’uomo… soffiò in lui l’alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente… piantò un giardino… vi collocò l’uomo… fece germogliare… (Cfr. Gn 2, 7-9) o — volendo esserne autonomi — non smettiamo per questo di dipendere: dal clima, dal potere di altri, dalla salute, dalla società e così via.

Scrisse sedici secoli fa Ambrogio di Milano “Guardate quanti padroni hanno quelli che non vogliono avere l ‘unico Signore” (“Quam multos dominos habet qui unum refugerit” AMBROGIO DA MILANO, in Tutte le opere. Discorsi e lettere 11/111, Milano Roma 1988, pp. 312-313).

A questo livello è la battaglia a cui siamo invitati: quella di tornare allo sguardo semplice di chi si riconosce figlio amato, che tutto riceve dal Padre e che in Cristo viene salvato ora dalla schiavitù del male, della violenza della guerra. Salvato e perciò grato e lieto, anche se nel sacrificio.

Ma guardiamo a Cristo: lui sapeva che quelle tentazioni erano forti: non risponde con parole sue, ma con testi della Scrittura, quasi temendo di appropriarsi di un rapporto in cui invece si sentiva e voleva essere tutto del Padre, servitore del suo disegno di amore per noi.

Anche qui torniamo alla Genesi: I nostri progenitori cadono nel tranello. Per loro la tentazione si traduce in desiderio di possesso. Tutto era donato dall’azione di Dio e vogliono far suo tutto, anche Dio. I verbi della lettura sono significativi: “la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò”. Mangiare il frutto per possedere tutto.

Invece Gesù vince le tentazioni perché non possiede, ma dona se stesso. Le tentazioni torneranno fino sulla croce e proprio lì, nell’abbandono totale al Padre, vincerà il male per sempre e renderà possibile che anche in noi vinca la logica del dono, della gratitudine che diventa dono gratuito di sé, dell’affermazione di sé, quella vera, come amore all’altro. Camminiamo con Gesù verso la settimana santa, ma camminiamo verso la grande gioia della resurrezione.

Mi rivolgo a voi giovani: siete disposti a questa conversione non dei comportamenti, ma della concezione di sé e della vita? Mi rivolgo a voi che avete autorità nella Chiesa e nella società: siete disposti a spendervi nel servizio degli altri, vera affermazione di sé? Mi rivolgo a voi anziani: siete grati per quello che avete ricevuto e disposti a offrirvi ancora nella preghiera, nella collaborazione con i più giovani? Ce n’è per tutti… e anche per me: il cardinal Betori in Duomo a Firenze nella mia ordinazione tratteggiò un’immagine del Vescovo che mi fece e mi fa tremare. Ne cito ora solo una frase, quella che in fondo a tutto mi fece e mi fa respirare, anche se così impegnativa.

“Ci si prende cura volentieri del gregge, se la nostra volontà è una cosa sola con la volontà stessa di Cristo, se sentiamo la chiamata che ci viene fatta non come un oneroso servizio ma come un dono che ci fa più vicini al cuore di Gesù. II suo è il cuore del pastore che dona la propria vita per le pecore, nella libera obbedienza al progetto salvifico del Padre (cfr. Gv 10,17-18)”. GIUSEPPE BETOR1, Omelia nell’Ordinazione Episcopale di mons. Giovanni Paccosi, 5 febbraio 2023

Insomma, arrivo alla fine di queste parole che non sono un discorso programmatico, come forse qualcuno si aspettava, ma semmai l’indicazione del punto di partenza di un cammino tutto da scoprire insieme. Il cammino che iniziamo insieme parte dalla battaglia per essere veri, cioè per scoprirci piccoli e peccatori, ma oggetto di un amore così grande che possiamo ora e potremo sempre rimetterci in gioco, per costruire con Cristo un inizio di vita nuova, luoghi ecclesiali e sociali dove sia possibile sperimentare che la vittoria sul male e sulla morte accade qui e ora, e lo vogliamo gridare al mondo con la testimonianza della nostra letizia, per collaborare alla speranza di ogni persona, cominciando da chi soffre di più, unito più di tutti al dono che Cristo fa di se sulla croce.

Finisco con le parole del Papa ascoltate prima e che sento un programma per me, da quel 24 dicembre in cui furono scritte.

 

Il Bambino che viene nel mondo per noi e che noi ci prepariamo con grande gioia ad accogliere è quello stesso Maestro che, incrociando lo sguardo dei discepoli, comprese il nostro desiderio di uomini; così, i discepoli andarono e rimasero con lui né mai, da allora, noi siamo stati separati dal Redentore

(cfr. Gv 1,35-39 e Rom 8,35). (PAPA FRANCESCO, Bolla di nomina del Vescovo Giovanni Paccosi, 24 dicembre 2022).

Che non ci separiamo mai da Gesù, per essere testimoni della sua gioia.

Sia lodato Gesù Cristo.

+ Giovanni Paccosi