Monsignor Paccosi ha partecipato, lo scorso 31 maggio, alla seduta straordinaria del Consiglio comunale di San Miniato che ha accolto le testimonianze dei ragazzi delle scuole medie dei nostri territori, che hanno partecipato al pellegrinaggio ai campi di sterminio organizzato dall’Associazione nazionale ex deportati.
«Quando vien giù il male come pioggia, nessuno che dica basta! Anche le grida cadono come d’estate pioggia». Riaffiorano alla mente i desolanti versi di Bertolt Brecht nel difficile tentativo di entrare in risonanza emotiva con i giovani che, con rispetto e pudore, hanno accostato anche quest’anno la vertigine indicibile e terrifica dei campi di sterminio nazisti. Il vescovo Giovanni era con loro, nel pomeriggio di mercoledì 31 maggio, alla seduta straordinaria del Consiglio comunale di San Miniato, convocata per accogliere le loro testimonianze. 15 ragazzi delle scuole medie dell’Istituto comprensivo Sacchetti di San Miniato e del comprensivo Buonarroti di Ponte a Egola, che hanno partecipato, dal 4 all’8 maggio scorsi, al pellegrinaggio ai campi di sterminio organizzato dall’Aned (Associazione nazionale ex deportati), sezione di Pisa, con il patrocinio del Comune di San Miniato stesso.
Francesca, studentessa del Sacchetti, che dal suo eloquio, e dalla sua riflessione, dimostra una maturità maggiore dei suoi 14 anni, racconta in proposito: «Per quanto possa sembrare una cosa stupida da dire, è stato lì – a Dachau – che ho realizzato che tutto era vero. Che quello che avevo letto sui libri di storia era successo davvero. Che le persone avevano sofferto e sono morte davvero… proprio lì dove io stavo camminando». Gli fa eco Gregorio, riprendendo le esatte parole di Primo Levi: «Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare. Le coscienze possono essere nuovamente sedotte e oscurate: anche le nostre».
«Vi ringrazio per queste vostre testimonianze, mi hanno veramente commosso», ha commentato monsignor Paccosi ascoltando gli studenti. E ha proseguito: «Io sono andato ad Auschwitz tanti anni fa, nel 1980, e quella visita mi segnò profondamente». Il nostro presule ha poi richiamato un pensiero amaro e sconsolato del filosofo ebreo-tedesco Max Horkheimer, quando scriveva che non esiste una storia universale che conduce dal selvaggio all’umano, ma semmai «un progresso che porta dalla fionda alla bomba atomica», e ha aggiunto: «La nostra cultura occidentale ha avuto l’illusione che il progresso tecnologico portasse a una crescita della cultura, dell’umanità… Il progresso tecnologico è bene che vada avanti, ma mentre questo progresso procede per accumulazione, nel progresso dell’anima, nel progresso di noi come persone umane, bisogna ricominciare sempre da capo. Questa è una grande sfida perché significa che la nostra libertà deve essere sempre rimessa in gioco. Per cui, anche quando si tratta di fatti successi 80 anni fa, è importante che voi li conosciate e li giudichiate. Vedendo questi luoghi uno comprende che questo è stato possibile e che potrebbe ripetersi anche ora. Hannah Arendt scrisse “La banalità del male”: il suo stupore fu proprio ascoltare le persone che avevano collaborato allo sterminio dire: “Eseguivo degli ordini”, senza la minima assunzione di responsabilità rispetto a quello che avevano fatto. Questo ci dice che se non c’è un lavoro di ognuno di noi nel domandarsi: “Cosa viene prima l’ordine di chi comanda o il rispetto e l’amore alla singola persona? Sapete, io ho due riferimenti – e in questo riprendo don Milani, di cui abbiamo appena celebrato i 100 anni dalla nascita -: sul tavolo della scuola di Barbiana c’erano il vangelo e la costituzione italiana. Il vangelo e la costituzione hanno una cosa in comune: dicono che la persona umana viene prima di qualunque legge. La persona umana con tutte le sue aspirazioni e desideri di bellezza, di felicità, di giustizia, di amore, di libertà, viene prima di qualunque istituzione». «In tutto quello che noi facciamo dobbiamo sempre aver presente questa primazia della persona su qualunque altra cosa», ha concluso il vescovo.
L’esperienza di questi ragazzi, il loro corpo a corpo con l’orrore della Shoah, ci fa riflettere una volta di più sul fatto che esiste una indicibilità rispetto a questo vituperio della storia. A noi è chiesto di tentare di mettere un confine a questo orrore, proprio narrandolo. Il male è sghembo, esprime un’imperfezione intollerabile per il desiderio profondo di bellezza dell’uomo, e non può avere la parola definitiva sulla vita e sul mondo. Qualcuno ha detto che Dio non può più esistere dopo Auschwitz. Qualcun altro gli ha fatto eco che è invece proprio dopo Auschwitz che Dio “deve” esistere! Lo gridano le nostre viscere, e non per un senso di umana vendetta, ma per la giustizia che affama i giusti: «Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati» (Mt 5, 6). Sono anche questi ragazzi che ogni anno rinnovano, attraverso i loro pellegrinaggi e la loro testimonianza, questa fame e sete di giustizia per il mondo intero.