Era il dicembre del ’22… Due mesi prima le Camice Nere di Mussolini avevano marciato su Roma, scardinando i fragili equilibri democratici del Paese. Nubi fosche si addensavano sui cieli d’Italia. Proprio in questo clima, a San Romano, in una cappella laterale della chiesa dei Frati, in occasione dell’Avvento veniva accesa una “fiaccola” di speranza, attraverso l’eterna rappresentazione di un Dio che ha scelto la carne per rendersi visibile agli uomini. Una fiaccola che ancora oggi, a distanza di un secolo, illumina e riscalda. Stiamo parlando del presepe del Santuario “La Madonna”, allora piccolo e sconosciuto e oggi, per dimensioni e mezzi coinvolti, non più un semplice presepe ma “il” presepe tout-court, come hanno tenuto a dirci diversi visitatori rimbalzati da ogni dove in questo lembo del medio Valdarno inferiore.
Si tratta di un lavoro realizzato con inusitata dedizione da un manipolo di volenterosi, che con certosina e monacale pazienza, di anno in anno, rinnovano questa fantasmagorica “macchina” dalle dimensioni monumentali: oltre 250 metri quadrati di superficie (le dimensioni di un mega attico, per intenderci!), svariate migliaia di pezzi tra statuine in forma umana, animali e utensili, diverse centinaia di casette, ruscelletti che qui assomigliano più a fiumi e un lago di Genezareth che per dimensioni pare più un mare. L’età dei presepisti è quella della decana saggezza. Questo sodalizio, che potremmo affettuosamente ribattezzare la “Confraternita del Presepe” è costituito da una dozzina di persone (numero che anche simbolicamente esprime perfezione e richiama il numero degli apostoli) che nel tempo hanno visto crescere il loro vincoli di amicizia e solidarietà grazie a questo impegno comune. Conoscenti che lavorando gomito a gomito nel meraviglioso chiostro francescano del ’500, dove oggi si allestisce questo presepe, hanno imparato a volersi bene diventando prima amici e poi più che fratelli.
L’indimenticato don Luciano Marrucci sosteneva a questo proposito che i chiostri sanno fare queste magie: “Il chiostro è l’unico luogo sulla Terra dove si è realizzata un’utopia. Quella per cui chi più comanda, più è chiamato a servire, e dove se qualcuno desidera aiuto è chiamato successivamente a contraccambiare con un aiuto maggiore”. Mi tornavano in mente esattamente queste parole dell’”Abbas Nullius” mentre pensavo al lavoro di questa sorta di “confraternita” sanromanese, non registrata su carte ufficiali, ma suggellata dalla vicendevole dedizione dei cuori.
Chiedo a Paolo Barro, coordinatore dei lavori e presidente della locale Misericordia, se sussiste una specie di cavalleresca rivalità con gli altri importanti presepi di zona. Mi risponde con franca cortesia, quasi divertito: “C’è certamente un po’ di sano antagonismo ma, per quanto ci riguarda, è funzionale a stimolarci per fare ogni anno sempre meglio. Il più delle volte comunque, anche per restare al solo nostro circondario, si tratta di realizzazioni non paragonabili tra loro. Ed è bello che sia così, perché questo significa varietà e ricchezza. Lo specifico nostro per esempio è quello di utilizzare materiali di scarto e di recupero. Per realizzare le strutture, l’orografia e le casette usiamo tecniche povere e assolutamente artigianali. Non acquistiamo niente se non le statuine. Tutta la meccanica non proviene da negozi specializzati come altrove. I meccanismi sono realizzati e plasmati dalle mani magiche del nostro geniale Giovanni Freschi, 82 anni, ferroviere in pensione che ha la capacità di animare un diorama grazie ai motori dei tergicristalli delle auto rottamate, o delle centrifughe delle lavatrici, ecc.”.
Occorre allora dire che in questo il presepe di San Romano è davvero francescano, come i frati che hanno la titolarità del convento. Una povertà francescana che assemblata nel suo insieme si ripropone e si amplifica in una bellezza sontuosa e magica. Si, perché guardare il presepe di San Romano è un po’ come vivere una magia e tornare a mangiare lo zucchero filato dopo che non lo si faceva da una vita: ti ricatapulta in un baleno all’infanzia. Ogni anno l’energia e lo stimolo per portare a compimento questa opera di dimensioni ciclopiche, mi dice ancora Paolo Barro: “è rimanere ogni ora di ogni giorno, per due interi mesi, concentrati sul pensiero che non lo stiamo facendo semplicemente per noi, ma per la nostra comunità parrocchiale, per il paese tutto e infine per le tantissime persone che dalla Valdera, fino a Firenze e Livorno ci seguono con affetto e interesse”.
Una cosa che strabilia e su cui non si riflette abbastanza riguardo all’allestimento è proprio la liturgica ritualità dei tempi di esecuzione, che iniziano canonicamente il 5 ottobre, all’indomani delle solenni celebrazioni per San Francesco, e vanno avanti con turni quotidiani, sia al mattino che alla sera, fino all’8 dicembre con la festa dell’Immacolata e la solenne inaugurazione. Una sorta di moderna riproposizione della scansione benedettina del tempo in “ora et labora”, calibrata perfettamente su poco più di sessanta giorni. Riguardo alla sapiente e oculata gestione del tempo, colpisce ad esempio lo studio attento, quasi scientifico, delle semine invernali, per fare in modo che il grano piantato nel presepe germogli esattamente nel tempo di Avvento. Fattore che traduce quindi anche la raffinatissima capacità di architettare il paesaggio naturalistico.
Questo presepe esprime poi una sua peculiarissima coscienza civica, attraverso una sezione denominata “Per non dimenticare”. Ci dice a questo proposito Barro: “Sono già quattro anni che con le nostre scenografie e i nostri allestimenti accendiamo i riflettori su grandi calamità e sciagure. Due anni fa fu il terremoto delle Marche ad essere ricordato, l’anno prima furono i naufragi degli immigrati in Mediterraneo, che ci portarono a rivoluzionare l’iconografia natalizia, realizzando una Sacra Famiglia stipata su un barcone, che venne molto apprezzata. Quest’anno i nostri riflettori si accendono sulla tragedia del ponte Morandi di Genova e sul disastro che ha colpito ad inizio novembre il sito archeologico monumentale di Petra in Giordania, a causa delle alluvioni sommerso da un fiume di fango. Riguardo poi a cosa rappresentare e come farlo, occorre dire che esiste una regia globale a cui tutti ci rifacciamo, ma ogni volontario si prende poi in carico un settore del presepe e in quel frammento lavora a sua totale discrezione”. Anche da questo punto di vista si tratta di un modus operandi che stimola molto la creatività individuale nell’obbedienza all’unico progetto. Esattamente come nella migliore tradizione delle famiglie monastiche.