Donatella Turri, direttrice di Caritas Lucca, è stata la relatrice della terza formazione di quest’anno per gli operatori Caritas della nostra diocesi. L’incontro si è tenuto nella sala parrocchiale a Le Capanne lo scorso 2 aprile. Suggestivo e denso di contenuti il titolo della sua relazione: «”Comunità è la nostra risposta”. La Caritas come presenza profetica nelle città».
Si è trattato di una conversazione che ha mosso da uno stimolo preciso: recuperare la consapevolezza sul senso della presenza delle nostre chiese, e in particolare di Caritas, nella città dell’uomo, presenza come testimonianza di carità e di vangelo. Ci si riflette forse poco ma l’operato dei volontari Caritas, nel contrastare le povertà e nell’accompagnare le fragilità, si raccorda perfettamente con tutto ciò che nella città si muove e aiuta a costruirla. Perché anche semplicemente alleviare la povertà materiale di un fratello contribuisce già a costruire una città di tipo diverso. Quale può essere allora il ruolo di Caritas nella costruzione di una polis dove tutti stiano bene, una città che si proponga di camminare al passo del più lento e del più fragile?
Per rispondere la Turri ha ripreso la “Fratelli Tutti” di papa Francesco, in particolare un passaggio (n. 180) in cui il Santo Padre ha provato a illuminare di nuovo il rapporto tra l’impegno ecclesiale e la comunità civile e civica, parlando dell’amore politico: «Riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie. Esigono la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurino la reale possibilità. Qualunque impegno in tale direzione diventa un esercizio alto della carità. Infatti, un individuo può aiutare una persona bisognosa ma, quando si unisce ad altri per dare vita a processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti, entra nel campo della più vasta carità, la carità politica».
Questa carità politica, come attenzione al territorio, è un impegno che il Papa riconsegna a tutti e aiuta a trasfigurare il servizio e l’impegno degli operatori Caritas. Quello che fa un volontario (ascoltando o confezionando e consegnando un pacco alimentare) diventa allora un seme che può generare un modo diverso di essere città e comunità. È precisamente questa la sfida che ci consegna il Papa – ha commentato la Turri. L’esperienza di vita e l’insegnamento del Santo Padre dimostrano poi un fatto ulteriore: il cambiamento si origina sempre dal basso, dai movimenti popolari che cambiano i processi di ingiustizia; i cambiamenti difficilmente si originano dall’alto, dalle “poltrone dei potenti”.
Tutto questo è importante dirselo oggi perché siamo in un momento in cui anche le istituzioni si stanno ripensando, obbligate da uno scenario sociale che è, e resta, di una pesantezza inedita. Nel 2008, all’indomani della prima crisi, i dati di povertà cominciavano anche nel nostro Paese ad assomigliare a quelli del dopo guerra. Dopo 12 anni poi, su questo scenario, è calata come una mannaia l’esperienza della pandemia. All’epoca del primo lockdown (2020) nelle nostre città abbiamo assistito allo scandalo di chi non avendo una fissa dimora veniva a perdere la possibilità di accedere ai centri di accoglienza notturna o alle mense della carità, venendo addirittura multato se trovato all’aperto. Ci fu allora una emersione evidente della povertà che le istituzioni non poterono più ignorare. E chi era povero diventò ancora più povero. D’infilata con i vari lockdown sono poi emerse a ruota altri tipi di povertà che fino ad allora erano rimaste celate nel pudore delle nostre case, con la grande emersione della povertà minorile (1 bambino su 8 in Italia è a rischio di povertà). Con il primo severo lockdown (marzo-aprile 2020) in dad si vedevano bambini che non potevano collegarsi perché privi di connessione o di pc. Il divario digitale era diventato improvvisamente una forma di disuguaglianza. Senza considerare la povertà abitativa, legata a case sovraffollate con tanti bambini e soggetti fragili in due stanze. Il primo lockdown ha fatto emergere anche una significativa povertà alimentare: molti bambini che avevano la possibilità di fare un pasto completo al giorno a scuola, rimanendo a casa con le mense chiuse non facevano più nemmeno quel pasto. E ci siamo accorti anche della povertà sanitaria e degli anziani che non potevano curarsi o della fragilità dei disabili psichici il cui isolamento obbligato in casa ha deteriorato ulteriormente la loro salute. «È come se la pandemia ci avesse costretto a riconoscere che le nostre città non erano isole di benessere», ha sottolineato la Turri.
Oggi ci è chiesto il compito di costruire una città nuova. Uno strumento importante questo scopo sarà il Pnrr, che prevede ben 21 miliardi per i territori, che saranno da gestire a livello locale, che riguarderanno in gran parte le politiche di inclusione, ambito in cui le nostre Caritas sono impegnate in prima linea. Sarà una rivoluzione per lo stato sociale, come non si vedeva da anni. Sarà importante quindi conoscere le possibilità e opportunità che offre questo strumento di intervento per aiutare chi ha diritto, persone fragili e svantaggiate, ad accedervi. Una delle dimensioni della povertà infatti è quella che i bisognosi spesso non sono in grado di godere dei propri diritti. Per questo l’operatore Caritas non può essere semplicemente colui che consegna un pacco alimentare ma deve diventare colui che mette il povero in grado di esercitare i propri diritti. Il Pnrr obbliga inoltre le amministrazioni a confrontarsi con le realtà del territorio per decidere come impiegare questi fondi. La missione della Caritas dovrà allora essere anche quella di suggerire modalità per cambiare le città perché diventino luoghi di bene, provare a far camminare le città al passo del vangelo, Lo stile del vangelo è quello della relazione e della creatività. Uno stile che Caritas ha adottato proprio in questi giorni nel modo di accogliere i profughi ucraini, rispetto alle modalità ingessate che proponevano le istituzioni: un’accoglienza fatta di prossimità, di vicinanza e contatto umano.
Lo stile di Caritas deve essere anche questo, a concluso Donatella Turri: gioia, allegria e capacità di ispirare fiducia nel futuro anche nei momenti più difficili.