Lo scorso 27 giugno monsignor Migliavacca ha festeggiato trent’anni di vita presbiterale. Ordinato sacerdote all’età di 24 anni, nel 1992, il nostro presule ci racconta in un’intervista il suo cammino vocazionale e come la vita da prete possa essere ancora oggi una vita piena di fascino per i giovani.
Eccellenza, come è nata la sua vocazione al sacerdozio e quali sono state le figure di riferimento spirituale che l’hanno favorita?
«La mia vocazione è nata nel contesto della parrocchia e dell’oratorio del mio paese, Binasco. Da ragazzo ho vissuto la crescita nella fede grazie alla mia famiglia: mia mamma Chiara e mio babbo Giuseppe. Insieme a mia sorella Elena abbiamo vissuto un contesto familiare di educazione cristiana serena, di partecipazione alla vita della Chiesa e della parrocchia. Poi nell’età delle medie ho incominciato a frequentare l’oratorio come ambiente di aggregazione, ma anche come luogo in cui ho imparato il servizio, in particolare verso i ragazzi più piccoli guidandoli nel gioco. Importanti sono state anche le esperienze di catechista e corista nel coro parrocchiale e il suonare nella banda, realtà che mi hanno inserito ancor più nella vita dell’oratorio che intanto diventava anche un contesto di amicizia. Tutto ciò ha certamente favorito la mia crescita vocazionale. Per quanto riguarda le figure spirituali che più mi hanno aiutato a fare discernimento… ricorderei innanzitutto le testimonianze di prete di mio zio, don Adriano Migliavacca, e del parroco del mio paese, don Luigi Lucini, insieme poi all’incaricato della pastorale vocazionale della diocesi di Pavia, don Daniele Baldi. E poi altri sacerdoti pavesi e alcuni amici; insomma, una ricchezza di presenze di fede che ha aiutato la mia scelta definitiva che è poi emersa dopo la maturità, quando, al termine degli studi di ragioneria, sono entrato in seminario a Pavia».
Quali momenti, tra i più significativi, ricorda in questi trenta anni di vita sacerdotale?
«Ricordo soprattutto i momenti di svolta. Fanno parte di questo cammino gli anni del mio seminario: anni belli, di amicizia e di fascino per lo studio della teologia che diventava per me educazione nella fede e allo stesso tempo stimolo all’impegno pastorale nelle parrocchie dove venivo via via inviato: Binasco, Vellezzo Bellini e Giovenzano e in seguito Certosa di Pavia. Ricordo certamente i giorni dell’ordinazioni diaconale e sacerdotale come giorni di gioia, di festa e di comunità. Poi l’esperienza del cammino e dello studio a Roma, con l’ingresso al Seminario Lombardo, lo studio del Diritto canonico alla Gregoriana e Roma come esperienza di apertura di orizzonti, d’incontro con preti provenienti da tutto il mondo. A Roma ho conosciuto anche la parrocchia Gesù Divin Maestro dove ho cominciato il percorso con gli scout. Poi mi piace ricordare i momenti del servizio negli uffici pastorali a Pavia, soprattutto l’impegno con i giovani e la Pastorale giovanile diocesana di cui sono stato responsabile e gli stessi scout di cui ero assistente, così come l’impegno di assistenza spirituale nel settore giovani e ragazzi dell’Azione cattolica. Un momento di svolta decisivo è poi venuto nel 2001 quando sono diventato rettore del seminario vescovile, una responsabilità che mi ha regalato tanto, consentendomi di camminare fianco a fianco con i seminaristi. Aggiungerei l’impegno nell’ambito del servizio del Diritto canonico nella Curia di Pavia, e vorrei qui ricordare con gratitudine anche il servizio come giudice presso il Tribunale ecclesiastico lombardo dove ho trovato, non solo una realtà d’impegno nel servizio e nello studio, ma anche un ambiente ecclesiale di familiarità e amicizia, un luogo dove il Diritto è vissuto come pastorale. E infine ricordo, come momento significativo, la sorpresa del diventare vescovo nel 2015»
E con la nomina a vescovo che nuovo significato ha assunto il suo ministero sacerdotale?
«Direi che il mio sacerdozio ha assunto una maggiore pienezza e profondità soprattutto per l’incontro con tante persone. Essere vescovo mi sta dando l’opportunità di conoscere storie di vita di diverso genere; di affiancarmi al cammino della gente, alle loro fatiche e gioie quotidiane; di poter vedere nella vita delle persone l’opera dello Spirito, l’opera di Dio, sentendomene anch’io arricchito. Il mio sacerdozio, con la nomina episcopale, ha anche assunto una dimensione di maggiore missionarietà, anche per il fatto di avere lasciato la terra lombarda e essere venuto qui in Toscana, laddove il Signore e la Chiesa mi hanno chiesto. E poi un altro aspetto che vorrei sottolineare: nell’essere vescovo di una diocesi, vescovo di parrocchie, di famiglie, di preti, di tanta gente… sussiste una dimensione di appartenenza alla comunità, come guida e pastore, che è essa stessa ricchezza».
In un tempo desacralizzato e mondanizzato come il nostro perché è ancora bella la vita del prete? Perché un giovane dovrebbe scegliere di farsi sacerdote?
«La vita da prete credo non solo sia ancora oggi significativa, ma sono anche convinto che rivesta un fascino tutto particolare. Perché la vita da sacerdote, se vissuta autenticamente, è fondamentalmente annuncio. Il prete è chiamato davvero a testimoniare il vangelo, la buona novella, la fraternità, l’attenzione «I ai valori della vita, alla socialità, all’ambiente… tutte ricchezze che possono dire qualcosa al mondo di oggi. E poi la vita da prete è piena di fascino anche perché è una vita d’incontro, di condivisione, di ascolto delle persone. È una vita che parla al mondo e all’uomo di oggi di preghiera e di relazione con Dio, che aiuta cioè ad alzare lo sguardo dalla linea dell’orizzonte al cielo. Credo che tanti giovani potrebbero ancora oggi scegliere questa vita se desiderano dare pienezza alla loro umanità, scoprendo in questo modo i talenti a loro donati per il servizio ai fratelli e la costruzione di un mondo migliore. Credo poi che ci sia bisogno per le vocazioni della buona testimonianza di vita da parte dei preti stessi. Sono convinto che anche alcuni giovani della nostra diocesi potrebbero scoprire questa chiamata del Signore e io prego che arrivi da parte loro la fiducia e la capacità di affidarsi al Signore che chiama. Importante è fidarsi di Lui».
Ha mai pensato a come sarebbe stata la sua vita se non fosse diventato prete?
«Penso che se non fossi diventato prete avrei avuto comunque una vita bella, una vita impegnata nel lavoro, forse in ambito bancario visti gli studi che avevo fatto. M’immagino con una famiglia, con dei figli a sperimentare l’avventura bella di essere padre nell’educazione dei figli. M’immaginerei anche ad affrontare le fatiche che affrontano le famiglie nella vita di oggi; ma sempre una vita bella, così come bella è la vita del prete. Penso però che la scelta di una vocazione alla fine vada a valorizzare proprio quelle qualità, ricchezze e talenti che sono specifiche di ogni persona e nelle quali ci raggiunge la chiamata del Signore».