Sono passati 75 anni… Ero bambino quando mio babbo mi evocava i fatti del Duomo, accaduti poco più di trent’anni prima. Trent’anni mi parevan pochi. Allungando il braccio mi sembrava di agguantarli, di graffiare con le unghie i marmi di quel luglio nella Cattedrale. E avevo paura…
Poi venne «La notte di San Lorenzo», un film immenso, definitivo, monumento ad una civiltà, con i suoi personaggi ancestrali sbalzati sulla pellicola come un Donatello avrebbe scolpito nel marmo o nel bronzo i suoi patriarchi b iblici. Un film che intride come un liquido amniotico, ma soprattutto un’opera visiva in grado di redimere, da sola e come poche altre, un decennio (gli Ottanta) di lutulenta e vasta immondizia cinematografica. C’era solo un problema: quella pellicola – riguardo ai fatti del Duomo – era un falso storico e non mi aiutò a capire, facendomi anzi sbandare, ragazzino, verso una vulgata ideologica dei fatti. Certo, come un giallo di classe c’era tutto: mandante, assassino, complice… perfino la pistola fumante. Tutto s’incastrava maledettamente bene. Ma era appunto tutto falso, e come ha detto quest’anno anche il nostro vescovo, durante la commemorazione delle vittime fatta nel Palazzo comunale, l’allora presule di San Miniato, Ugo Giubbi, può oggi essere di diritto annoverato tra le vittime di quella carneficina.
Ancora dopo vennero gli studi di Lastraioli e Biscarini, il libro di Paoletti e le polemiche con Pezzino, «La prova», il dibattito sulla stampa, le due lapidi, l’inchiesta sul vescovo (trucemente detto “nero”) e soprattutto l’esigenza personale di capire e approfondire un po’ più “scientificamente” la dinamica dei fatti. Ricordo che in quegli anni il dato che mi impressionò di più fu trovare nell’incartamento della commissione d’inchiesta, notizia del rinvenimento in Duomo, subito dopo i fatti, di un frammento di spoletta di proiettile d’artiglieria di marca americana. Quella spoletta, trovata nel Duomo, era già da sola un forte indizio che qualcosa a “stelle e strisce” era davvero esploso quel 22 luglio nella nostra Cattedrale. Quel frammento di spoletta, di cui conserviamo ancora un significativo disegno, negli anni successivi sparì e non se ne seppe più nulla. Sono passati tre quarti di secolo… un banale calcolo anagrafico, commisurato con l’aspettativa di vita di un uomo alle nostre latitudini, mi assicura che tra 25 anni dovrei, a Dio piacendo, aggirarmi ancora tra i mortali. Tra 25 anni sarà passato un secolo dalla strage del Duomo. Un secolo! Il solo pensiero mi dà le vertigini.
Oggi non abbiamo che la tenera compassione di Cristo da invocare per i caduti, per quei nostri 55 fratelli e sorelle. Gente innocente, giovane, umile, laboriosa. Gente in cerca di salvezza e di pace. Trovò invece la violenza e l’odore del sangue: “Sono angeli color di cilestro in compagnia del gran Navalestro, nel cielo cremisi, quei martiri nostri”. Ora e sempre, quei nostri 55 morti.
La Cronaca della Commemorazione
Anche quest’anno il vescovo, il sindaco di San Miniato, le autorità civili e militari, hanno interpretato il dovere della giustizia facendo memoria dei cinquantacinque trucidati nella Cattedrale, il 22 luglio 1944.
Nelle celebrazioni al Palazzo comunale il nostro vescovo ha detto che: «Tra le tante verità che ci possono essere sulla strage, in questi anni si è fatta strada “la” verità, che la ricerca storica ha permesso di trovare. Abbiamo quindi il dono di poter riconoscere una verità oggettiva nella quale collocare dalla parte delle vittime, insieme a coloro che hanno perso la vita, anche il vescovo Giubbi, così come le famiglie che hanno vissuto questo lutto e la comunità civile ed ecclesiale nella sua interezza. Tutti costoro sono dalla parte delle vittime.
Come seconda cosa vorrei dire che vivere questo anniversario significa per noi anche che abbiamo un’eredità da consegnare ai più giovani, e questa eredità non è la guerra ma la pace.
Terzo: fare memoria è anche aprire gli occhi e stare attenti all’oggi. Ci sono nel mondo guerre di cui non si parla, operazioni di terrorismo di matrice islamica (come attualmente nell’Africa subsahariana) di cui non si dice nei mezzi d’informazione. C’è poi un modo in cui l’altro, diverso da noi, ci viene presentato come nemico, come avversario. Questi sono tutti semi di guerra piantati sul nostro cammino. E allora l’invito è quello ad aprire gli occhi sull’oggi e a difendere e custodire la pace e la democrazia».
La celebrazione iniziata nel Comune della città della Rocca è poi proseguita con la tradizionale messa di suffragio in Cattedrale, dove all’omelia, monsignor Migliavacca ha proseguito la sua riflessione sottolineando come il «ritrovarsi nel luogo preciso della strage, significa recuperare una memoria che ancora vive. Una memoria che diventa preghiera fatta per loro e con loro».
Il vangelo che si legge nella messa del 22 luglio, dove è narrato l’incontro al sepolcro tra Gesù risorto e Maria Maddalena, racconta in filigrana l’amore di Dio per l’uomo, rintracciabile nello sguardo pieno d’affetto di Gesù verso la sua discepola e amica Maria. Questo brano rivela allora, secondo le parole di monsignor Migliavacca, anche «il modo per vivere la vita, per vivere anche e soprattutto le inconsistenze, le fatiche e i drammi come quello accaduto qui nel Duomo. L’unica strada è amare. Solo la strada dell’amare ci porta a parlare di resurrezione, di vita e quindi di riconciliazione. Questo è quanto ci viene chiesto per vivere nella fede la memoria che stiamo celebrando».