Marco Frisina – sacerdote, compositore e innovatore della musica liturgica – racconta come la sua formazione in composizione si sia fusa con la chiamata sacerdotale, trasformando la musica in un vero ministero. E nell’intervista che ci ha concesso spiega come la musica, da espressione sublime della Fede e della comunità, abbia contribuito a rinnovare la liturgia dopo il Concilio Vaticano II, grazie anche alla nascita di cori e a una maggiore sensibilità liturgica. Con toni affettuosi ricorda l’influenza profonda che su di lui ha avuto l’amicizia con san Giovanni Paolo II, la cui figura ha segnato il suo percorso sia spirituale che musicale. Infine, invita i giovani musicisti a studiare i documenti liturgici e a utilizzare la musica come strumento di evangelizzazione, sottolineando la potenza unificante e rivelatrice dell’arte musicale nella Chiesa.
Uno dei più grandi compositori viventi, con un curriculum da far tremare i polsi, basta dare un’occhiata alla voce che lo riguarda su Wikipedia per sincerarsene; premiato persino nella sfavillante Hollywood – un unicum per un prete cattolico – in virtù di tre colonne sonore composte per altrettante fiction televisive; eppure monsignor Marco Frisina 70 anni – ha conservato il candore e l’affabilità della persona comune. Arrivato in diocesi di San Miniato per una tre giorni di iniziative organizzate dall’associazione culturale Ultreia leaders Joint di Capannoli, abbiamo avuto la possibilità di incontrarlo e intervistarlo durante la serata organizzata i direttori, coristi, organisti e animatori liturgici che si è svolta al Palazzo vescovile.
Monsignor Frisina, la musica ha avuto un ruolo centrale nella sua vita. Quali sono le motivazioni ideali che animano il suo ministero di sacerdote e musicista?
«Beh, quando entrai in seminario non pensavo di dover continuare a fare musica; avevo terminato il diploma di composizione in conservatorio e volevo fare il prete. Poi invece mi è stata chiesta la musica, sempre di più e in maniera sempre più impegnativa, fino a che è diventata un ministero. Le cose si confondono: adesso sono qui con voi a parlare di musica, ma fra due giorni sarò a predicare un corso di esercizi spirituali. La predicazione, l’evangelizzazione, i concerti e la musica si alternano».
Possiamo dire che è musicista per obbedienza?
«Direi per vocazione». Il canto e la musica sono elementi integranti e fondamentali della liturgia cattolica. Cosa ritiene sia necessario sapere a questo riguardo per comprenderne appieno l’importanza? «L’espressione della Sacrosanctum Concilium, dove si dice che la musica è parte integrante della liturgia, fa capire tutto. La liturgia ha bisogno della musica perché è l’espressione umana più alta, con cui il fedele esprime davanti al Signore la propria fede e il proprio amore. E questa espressione la si fa insieme, come comunità. È importante sottolinearlo. Per cui il canto e la musica nella liturgia diventano fondamentali e integrano una liturgia semplicemente detta. In questo modo la liturgia diventa autenticamente umana, piena di calore, quel calore che la musica sa dare».
Dopo il Concilio Vaticano II, con l’introduzione della liturgia in lingua corrente, ci sono stati È momenti di smarrimento riguardo alle forme e ai contenuti di testi e musiche. A distanza di circa 70 anni, qual è la sua valutazione sullo stato attuale della musica liturgica?
«Io credo ci sia stata una grande evoluzione da quegli anni. Il Concilio si è concluso che io avevo dieci anni, ricordo bene la liturgia preconciliare. Erano tempi di grande creatività e quindi anche di grande confusione. Però credo che col tempo, grazie alla nascita dei cori, all’emergere di una certa sensibilità liturgica, all’aver imparato a discernere meglio il repertorio, i frutti sono arrivati. Nel lontano 1984 co-fondai il coro della diocesi di Roma, proprio con l’intenzione di mettere in pratica in maniera seria il Concilio. All’epoca non esistevano ancora i cori diocesani. E tanti cori, anche diocesani, che sono nati dopo, hanno sperimentato la bellezza di mettere in pratica il decreto conciliare, soprattutto Musicam sacram, che è poco conosciuto, ma che dovrebbe essere al centro della formazione liturgico-musicale delle comunità parrocchiali».
La musica può avvicinare le persone a Dio e rivelarsi uno strumento efficace per la trasmissione della fede. In che modo ciò avviene concretamente?
«La musica è un’espressione alta, che si usa solo per i grandi sentimenti, tant’è vero che il legame con l’amore è fortissimo, perché è il gesto umano più sublime che si possa vivere. E la musica infatti è vocazionalmente legata all’amore. Questo fa capire come nell’evangelizzazione essa abbia un’efficacia straordinaria, come la storia della Chiesa ha dimostrato. Basti pensare alle laudi filippine o alle laudi cortonesi nel Medioevo, o al ruolo della musica nell’Oratorio di Don Bosco. In tutta la storia della Chiesa, la musica è stata per l’evangelizzazione uno strumento grande. E nella liturgia diventa l’espressione più bella e naturale della lode a Dio, fin da Davide. Quindi questo fa capire che nella fede, nella storia stessa della Chiesa, la musica ha un ruolo fondamentale».
Nel corso della sua carriera ha collaborato con numerosi artisti e istituzioni. Quali esperienze o musicisti l’hanno maggiormente segnata e come hanno influenzato il suo approccio alla musica liturgica?
«Ho avuto modo di avvicinare grandi musicisti già quando ero ragazzo in conservatorio, e poi ancora anche nei primi anni dopo il diploma, quando ero già in seminario. Certo quelli di chiesa… Ero ad esempio affascinato dalla genialità e follia lucida che aveva Domenico Bartolucci, vostro conterraneo di Borgo San Lorenzo. Per me rappresentava una tradizione viva, rinnovata anche dal modo suo di averla vissuta. Era un punto di riferimento. Così come poi fu il rapporto, che poi divenne amicizia, con Ennio Morricone, con cui ho lavorato insieme. È stato anche lì un grande momento. Ma ho lavorato anche con tanti musicisti di musica leggera, come Mina, ho scritto per Bocelli… la vita mi ha riservato tante sorprese, che ancora adesso accadono».
Il suo rapporto con San Giovanni Paolo II è stato particolarmente significativo. Come ha ispirato la sua musica e in che modo ha influenzato il suo modo di intendere la missione del musicista nella Chiesa?
«Io devo a San Giovanni Paolo II tutta la mia impostazione, sia sacerdotale che musicale, perché entrai in seminario nel 1978, ed ero in piazza San Pietro quando lui diventava Papa. Giovanni Paolo II ha segnato profondamente la mia vita anche perché è stato uno dei miei committenti di musica; ho scritto un oratorio all’anno per lui, in occasione delle sue visite al seminario romano per le feste della fiducia. Cui vanno aggiunti tutti i canti che scrivevo per le liturgie che il Papa celebrava come vescovo di Roma, Tantissimi canti, tantissima musica scritta per lui. E poi ancora fino alla sua beatificazione e canonizzazione, perché ero direttore dell’ufficio liturgico in Vicariato, quindi ho dovuto scrivere io le orazioni. Quindi veramente ha segnato la mia vita. E ancora adesso. Basti pensare che mi accingo a tenere un corso di esercizi spirituali per i preti di Padova che terrò su Giovanni Paolo II, sul suo pontificato, sui suoi testi e me lo hanno chiesto loro stessi. Quindi continua a essere molto presente nella mia vita. E poi affettivamente era un padre per me, quindi non potrò mai dimenticare tutte le parole, gli esempi, le frasi, i momenti vissuti con lui, no, non è possibile».
Chissà con quale musica l’aspetta San Giovanni Paolo II in Paradiso. Avrà composto una musica meravigliosa per lei.
«Beh – sorride – io credo che mi canterà tutti quei canti che conosceva bene e che cantava già quaggiù. In alcuni i video si sente molto bene la sua bella voce che canta insieme al popolo e al coro. Con la Vergine Maria avrà organizzato in mezzo al paradiso tutti questi momenti affettuosi come lui solo sapeva vivere, con i giovani, con la Madonna».
Quindi la musica resterà? «La musica resta, perché nell’Apocalisse si canta tanto», sorride ancora. Durante la liturgia la Parola di Dio s’incarna nel canto, diventando musica e, al contrario, la musica attraverso il canto, ritorna Parola di Dio. Quale rapporto speciale lega queste due dimensioni?
«Beh, io ho fatto il biblico, come mia specializzazione teologica, quindi sono stato e sono ancora in contatto continuo con la Parola. Ma la Parola è già la musica e la musica è già la Parola, nel senso che la musica non fa altro che esprimere quei contenuti che le parole non sanno esprimere, ma la Parola di Dio si. Quindi è utile alla Parola di Dio perché può darle la voce per dire ciò che le parole umane non sanno dire. Il legame tra Parola e musica è fortissimo, già Davide questo ce lo insegna. I salmi non sono altro che lodi, ma cantate; non basta infatti dirle le lodi, bisogna anche cantarle. Ossia: la musica dona una profondità espressiva alle parole umane, che le fa avvicinare alla Parola di Dio ed è un rapporto che io percepisco profondamente. La Parola di Dio e le parole dei santi, sono quelle che io preferisco maggiormente musicare… la Parola di Dio poi è inarrivabile per un musicista, perché è meravigliosa… poter dire quello che c’è dentro la Parola e che le parole umane sviliscono, ma che la musica invece può esaltare».
Come vede il futuro della musica sacra e cosa direbbe ai giovani musicisti che desiderano dedicarsi oggi alla composizione di musica liturgica?
«Ne conosco alcuni di questi… innanzitutto gli direi di fare ciò che la Chiesa chiede alla musica liturgica e alla musica sacra. Quindi di studiare i documenti, il legame con la Parola di Dio, perché è quello il testo da musicare, come dice Musicam sacram, e quindi il legame forte con la liturgia che ci insegna dove, come e quando utilizzare la musica e anche che tipo di musica serve legata all’azione liturgica. E poi usare la musica per evangelizzare. Perché la mia esperienza è che la potenza della musica nell’evangelizzazione è assoluta, in quanto mette in sintonia le persone, proprio sintonia musicale, con la Parola e quindi con Cristo. Ed è una sintonia che è misteriosa ma immediata. Per cui bisogna saperla utilizzare e anche studiare il modo migliore per utilizzarla. Nell’evangelizzazione, come nella liturgia, occorre credere nella potenza che la musica – che è creatura di Dio – possiede quando è legata alla Parola».