Il diacono Tommaso Giani ce l’ha fatta: partito lo scorso 26 giugno in bici da Genova, ha pedalato tra Slovenia, Croazia e Ungheria fino a Kharkiv in Ucraina, a ridosso del fronte di guerra, per portare un messaggio di pace e per donare un’auto alla Caritas della città, acquistata con i fondi raccolti anche grazie all’impegno di Caritas San Miniato.
Tre settimane fa ho iniziato un viaggio da Genova con la bicicletta, passando attraverso 1700 km di fatica e di incontri indimenticabili sui pedali (dalla Slovenia all’Ungheria all’ovest Ucraina) fino al traguardo di Leopoli; e ieri l’ho concluso in automobile, per arrivare a 10 km dalla linea del fronte della guerra Ucraina-Russia tuttora in corso: un’automobile comprata grazie alle decine e decine di donazioni arrivatemi nei giorni scorsi sull’onda dei miei “diari della bicicletta” su Facebook, e ieri regalata alla Caritas di Kharkiv, la città ucraina in questo momento più martoriata dai bombardamenti; la città estera che conosco meglio, grazie ai miei ormai innumerevoli viaggi propiziati da due trasferte europee della Samp che per due volte ha giocato e ha perso (con me presente) proprio qui nella metropoli più importante dell’est Ucraina, e poi proseguiti estate dopo estate nel segno dell’amicizia con i tifosi e tifose di questa squadra e di questa città a cui mi sono sempre più affezionato.
La macchina regalata è un piccolo segno di vicinanza e di solidarietà concreta per la popolazione civile ancora rimasta asserragliata in questo grande agglomerato urbano sempre più deserto e sprangato: la Caritas Kharkiv la userà per portare a domicilio cibo, medicine e altri generi di prima necessità a tutta una serie di persone anziane e fragili che non possono uscire di casa per andare a ritirare gli aiuti nei centri di distribuzione. La useranno anche i miei amici tifosi del Metalist rimasti in città, dal momento che ne avessero bisogno per qualche trasporto o commissione: basta che la prenotino da don Grisha della Caritas, intestatario del mezzo, e potranno prenderla in prestito gratis tutte le volte che servirà. “Io non credo che questa macchina durerà più di un anno – sorrideva amaro ieri sera don Boris, un altro prete ucraino che mi ha aiutato tantissimo in questa difficile operazione di acquisto e consegna del veicolo, incaricandosi anche della guida per centinaia di chilometri su un’autostrada Kiev Kharkiv mai vista prima così deserta, militarizzata e spettrale -: i bombardamenti russi sono sempre più intensi, ci sarà probabilmente una nuova offensiva in grande stile da parte dell’esercito di Putin per conquistare questa città, che io temo fortemente diventi nel giro di pochi mesi una nuova Mariupol. Però Tommaso non pensare di aver fatto una cosa inutile: se nei prossimi mesi così difficili che aspettano Kharkiv questa macchina riuscirà a tenere in vita anche solo due o tre persone, i vostri 9mila euro secondo me saranno stati ben spesi”.
Il valore di questa macchina però va anche oltre la sua utilità concreta, pure rilevante. Dietro questa macchina ci sono infatti centinaia di facce, di storie, di umanità che abbraccia tutta l’Europa. Tutte le persone che mi hanno ospitato e che mi hanno offerto qualcosa lungo i 18 giorni di biciclettata, per esempio, per farmi coraggio e per sostenere questo mio sforzo di empatia con le vittime civili della guerra nella mia città del cuore ucraina: dal campeggio di Jesolo alla famiglia di Lubiana, dal prete di Nogara ai profughi del Donbass alloggiati in un ex orfanatrofio super[1]sgangherato in un villaggio sperduto su un cucuzzolo dei Carpazi; e ancora, ristoratrici croate, cameriere ungheresi, albergatori ucraini… Tutti hanno voluto sostenermi regalandomi il meglio che avevano per farmi passare la notte, tutti hanno voluto sentirsi parte di questa storia che cercava di arrivare a ridosso della prima linea della guerra, ma non per essere spettatori o reporter, quanto piuttosto per intervenire in un modo diverso rispetto a quello militare.
Dove l’esercito invasore semina morte e distruzione, e dove l’esercito del paese aggredito controbatte per uccidere decine di migliaia di soldati nemici aggiungendo morte ad altra morte, c’è qualcuno (e questo qualcuno siamo tutti noi, che all’arrivo di questa macchina a Kharkiv abbiamo creduto) che vuole provare a dire a questi due eserciti “Non in nostro nome”. Noi siamo per combattere l’ingiustizia con il soccorso ai più deboli, con il dialogo, con l’obiezione di coscienza e con la rivolta nonviolenta, anche se si tratta di percorsi lunghissimi che sulle prime la daranno vinta alla legge del più forte. Però c’è un’umanità da salvare che vale più di qualsiasi bandiera o integrità territoriale. Un’umanità che da oggi viaggerà anche per le strade di Kharkiv sotto assedio a bordo di questa macchina: una macchina piena di cibo e medicine, ma anche dei sogni di pace messi in bauliera da ognuno di noi.