Il 9 gennaio scorso il vescovo di Pistoia Fausto Tardelli ha aperto la porta santa della sua cattedrale e con essa l’Anno Santo Jacobeo. Se in tanti conoscono il cammino di Sant’Jacopo di Compostela per averlo percorso a piedi in pellegrinaggio, interamente o nelle ultime tappe, molti non sanno che fin dal XII secolo, Pistoia divenne l’unico centro di culto jacopeo ufficialmente riconosciuto in Italia, dopo che, nel 1145, il vescovo Atto riuscì a far arrivare da Santiago di Compostela una reliquia, un frammento del cranio, dell’apostolo Giacomo il Maggiore o Jacopo, che fu proclamato patrono di Pistoia.
Altri tempi? Può darsi. Sicuramente gli itinerari che nei secoli hanno compiuto da pellegrini i nostri predecessori nei loro viaggi giubilari erano diversi dai nostri. Essi attraversando le grandi direttrici storiche europee che dal nord Europa portavano a sud, verso Roma come la Romea Strata, dall’Inghilterra come la Francigena, avevano come destinazione finale Roma e la Terra Santa, mentre per chi andava verso ovest la meta era Santiago di Compostela. Un lungo reticolo di strade che si annodavano lungo le direttive principali, molte di esse riscoperte e valorizzate a partire dal Duemila come una proposta di turismo lento; ma per chi lo percorre con fede e non solo per camminare, rappresenta senza dubbio una possibilità per mettersi in viaggio e scoprire se stessi.
Recentemente è stato riproposto su un percorso adeguato ai tempi di oggi il Cammino di San Jacopo che da Firenze tocca le cattedrali di Prato, Pistoia, Pescia, Lucca, Pisa e Livorno ed è senza dubbio interessante percorrerlo per la particolarità dell’itinerario, dove la bellezza della natura incontra la creatività artistica dell’uomo lungo i secoli.
Ma quali sono i segni tangibili e le tracce del culto jacobeo oggi nella nostra diocesi di San Miniato? Sull’argomento non c’è una bibliografia approfondita per cui questa chiave di lettura meriterà, da chi vorrà in seguito trattare l’argomento, doverosi approfondimenti e integrazioni. La prima considerazione è di carattere storica. I pellegrini che venivano dall’Europa del nord verso Roma facevano tappa a Pistoia e poi continuavano, scendendo verso sud secondo un cammino logico, percorrendo la Romea Strata, toccando Vinci, Cerreto Guidi, Fucecchio e San Miniato. Lo snodo cruciale del periodo era senza dubbio San Genesio, luogo di incontro di Francigena e Romea Strata con quella che poi sarà la Strada Maestra dei capitani di parte guelfa e poi Via Regia pisana. Da San Genesio, percorrendo la direttrice Firenze-Pisa che costeggiava l’Arno o navigando il fiume, si arrivava alla città dalla torre pendente, importante repubblica marinara e forte della sua potenza navale. Era di lì che si poteva salpare verso la Sardegna, raggiungere Porto Torres e quindi avventurarsi ancora in mare verso le coste della Spagna per poi proseguire a piedi fino a Santiago de Compostela. La cartina che ci guida ha come tappe i segni che il tempo ci ha lasciato e senza dubbio le antiche chiese che venivano dedicate proprio a Sant’Jacopo sono un valido riferimento. Nelle prossime puntate proveremo a tracciare dunque questa sorta di itinerario jacobeo.
In cammino per i luoghi Jacobei: la chiesa di Pino a Ponte a Elsa
La prima tappa del nostro «pellegrinaggio» jacobeo passa dalla parrocchia di Pino, intitolata ai SS. Filippo e Giacomo (il minore). La chiesa è attualmente inaccessibile a causa del soffitto pericolante. A rischio gli affreschi del Gajoni del 1954, e le Messe vengono celebrate nello spazio polifunzionale. Ce ne parla padre Gianluigi Poiré
Se da qui continuiamo per poche centinaia di metri arriviamo alla parrocchia di Pino che è intitolata ai santi Filippo e Giacomo. Arrivo sul piazzale adiacente la chiesa. Parcheggio. Mi incuriosiscono alcuni cartelli all’ingresso della chiesa. È nastro isolante giallo messo dai vigili del fuoco: «Pericolo, non oltrepassare». Il tempo di fare due foto e si affaccia dalla canonica padre Gianluigi Poiré. «La chiesa è chiusa, frana il soffitto». Mi porta all’interno. La chiesa è vuota, le panche sono accatastate in un angolo, dal soffitto, parti di intonaco sono cadute, nell’aula, qua e là, una polverina sottile. «Vengo due volte al giorno in chiesa a pulire, mi si stringe il cuore a vedere la mia chiesa in questo stato». Il soffitto, realizzato nel dopoguerra e interamente affrescato da Antonio Luigi Gajoni nel 1954 dove sono rappresentati i volti dei parrocchiani del primo dopoguerra, si sta sbriciolando e c’è il serio rischio che possa essere perso in tempi brevi. «È molto difficile pensare a un intervento di recupero o di conservazione perché – mi hanno spiegato – come si agisce sulla struttura che lo sostiene (fatta di rete e di intonaco, quindi molto leggera) i cedimenti aumentano».
La chiesa è un vero e proprio scrigno d’arte. Nella parte del presbiterio si trova una delle collezioni più particolari e uniche, non solo a livello italiano, sul tema della Resurrezione di Lazzaro. Qui molti dei migliori artisti italiani hanno donato la propria opera in una collezione monotematica unica nel suo genere. «Quando li guardo, anzi quando li contemplo – dice ancora padre Poiré -, colgo in ognuno di essi un segno di speranza anche per questo tempo in cui stiamo uscendo dalla pandemia. È un po’ come la voce di Gesù che chiama Lazzaro, “Vieni fuori e cammina”, sia rivolto a ciascuno di noi». Usciamo. «E per le celebrazioni come fai?» «Sul piazzale, all’aperto. Le prime comunioni le abbiamo fatte qui, sotto a questo grande pino. Anche le cresime, il vescovo Andrea le ha celebrate qui, all’aperto. Mi sono affidato alle sue premure affinché il restauro possa iniziare quanto prima». Ci spostiamo a lato della canonica. Una targa alla porta della cantina, costruita negli anni Cinquanta da don Vasco Arzilli, reca scritto «Sala San Francesco». «E qui cosa c’è?». «Da quando sono arrivato in parrocchia mi sono adoperato, molto anche lavorandoci fisicamente, per creare uno spazio polifunzionale in parrocchia. Lo abbiamo utilizzato per le cene, per il palio e per i momenti di incontro della comunità. Ora è la cappella della parrocchia. L’ho trasformata nella chiesa della comunità… intanto andiamo avanti». «Ma i pellegrini passano da qui?». «Qualcuno passa e chi passa lo accolgo. La mia vocazione francescana mi porta sempre ad incontrare chi si presenta sul mio cammino». In passato si era parlato di fare di tutta la canonica un luogo di accoglienza per i pellegrini. Qui siamo proprio all’incrocio della Francigena, della Romea Strata, con l’Arno e la direttrice Firenze-Pisa e una porta sulla valle dell’Elsa. Ci vorrebbe però un progetto di recupero complessivo che dia una prospettiva a un luogo che ha una collocazione assolutamente strategica.
«Questa chiesa è intitolata a San Giacomo. Cosa rimane del culto e della tradizione a lui legata?»
«Non ho trovato segni vivi nella comunità di legame con il santo patrono. Noi ricordiamo il 3 maggio i santi Filippo e Giacomo (il minore). L’Anno Jacobeo però è un’opportunità che come parrocchia non possiamo perdere perché è un santo quanto mai attuale e ci permette di fare in sua compagnia una parte del cammino di fede di tutti noi. E poi in quanti lungo i secoli diretti verso Pistoia e di ritorno verso Roma saranno passati da qui mossi dalla devozione verso San Giacomo? Tantissimi».
Ora qualcuno potrebbe giustamente porre la questione se il santo venerato e titolare insieme a Filippo non sia San Giacomo il minore. È legittimo e non ci avventuriamo su questo aspetto che riteniamo marginale. Del resto anche nella chiesa di Santiago di Compostela è custodita e si venera, in un busto[1]reliquiario nella cappella dedicata, una reliquia dell’apostolo Giacomo il minore. Nel 1195 Celestino III (pochi anni dopo l’arrivo della reliquia di San Giacomo a Pistoia), citando la pieve di San Genesio, inserisce nelle chiese suffraganee per la prima volta la chiesa di «S. Filippo de Pinu». Secoli dopo, nel 1582 nella carta dei capitani di parte guelfa troviamo citata la chiesa come intitolata a San Jacopo e Filippo a Selva e Pino. «A noi interessa che Giacomo ci metta in cammino come comunità. E meglio in compagnia di due santi che di uno». Prossima tappa San Miniato.