Quest’anno era la 30ª ed è capitata nel IV centenario della Diocesi col suo giubileo. Se si dovesse fare, non sapremmo dire quale delle 4 serate è piaciuta di più: per un verso o per l’altro erano molto interessanti tutt’e quattro. Opportunamente dislocate nel territorio, sono state scelte delle sedi che avessero un organo a canne di qualità. Ci hanno ospitati Larciano, chiesa di San Rocco; S. Maria a Monte, Collegiata; Crespina, S. Michele Arcangelo; S. Miniato, Cattedrale.
Questa rassegna ha confermato la bontà dell’iniziativa. Non è nata per far vedere quanto siamo bravi o suscitare invidia e campanilismi. I salmi ci suggeriscono la motivazione giusta. Il salmo 33: «Lodate il Signore con la cetra, con l’arpa a dieci corde a lui cantate. Cantate al Signore un canto nuovo, suonate la cetra con arte e acclamate». Dice “cantate”, “suonate”, al plurale. L’arte autentica è il risultato finale di scienza e ispirazione, dove per “ispirazione” s’intende il soffio dello Spirito (Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti 15). Coinvolge tutte le forze dell’uomo: invenzione e fantasia, tecnica ed espressività, ragione e cuore, mente e sensibilità. Così è anche nell’amore verso Dio in Luca 10,27: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente». Per questo, come più si ama meglio è, così più si canta bene meglio è. Cantare bene è cantare per amore. Non per nulla la frase finale della II preghiera eucaristica della Messa termina dicendo: «Di tutti noi abbi misericordia, donaci di aver parte alla vita eterna […] e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua lode e la tua gloria».
ll motivo delle nostre rassegne, quindi, è condividere quello che facciamo per il Signore insieme ai fratelli, stare gioiosamente insieme, fare un “coro di cori”. Non è necessario essere dei Bocelli. Si canta con la voce che il Signore ci ha dato. Semplicemente, ma con impegno. La gioia ci trasfigura. In certi casi, come a S. Maria a Monte, eravamo circondati da opere d’arte figurativa di qualità. Lì si univano tradizione, cultura e storia, di cui la musica corale è parte essenziale. Insomma, il bello, musicale e figurativo uniti alimentano e danno senso alla storia presente e rinforzano la nostra fede. L’ultima serata si è svolta in cattedrale. Lì è stato possibile tracciare un primo bilancio con alcuni numeri: nelle 4 serate sono intervenuti 25 cori (un coro anche da Capraia e Limite, di fuori Diocesi!).
Se facciamo una media di 20 persone a coro, si arriva a circa 500 coristi, che hanno eseguito 76 brani di 52 autori diversi. Non male, direi. Questa rassegna è capitata nel giubileo della Diocesi. C’è un legame molto stretto tra la parola “giubileo” e la musica. La parola stessa “giubileo” deriva dall’ebraico “jobel” (montone, capro, ariete). Anche gli ebrei ogni 50 anni celebravano il giubileo, e la festa era annunciata dal suono del jobel. Lo si suona ancora e ha un suono profondo, evocativo, carico di mistero e di grande fascino. La parola “giubileo” è imparentata anche con “giubilo” (in latino iubilus). Cos’è questo iubilus? Un canto praticamente senza parole. Ne parla S. Agostino. Quando proviamo una gioia intensa (ma anche un dolore) e non troviamo parole adatte per esprimerla, diciamo: «Non ho parole». Sentiamo che le parole non bastano ad esprimere tutto quel che si prova. Al tempo stesso non si può stare zitti. Allora cosa resta da fare? Lo jubilus: il cuore dà via libera al sentimento, cantando senza parole. Ci si ferma su una vocale e via coi melismi o vocalizzi: musica allo stato puro. Lo iubilus lo si trova tanto nel canto gregoriano, spesso sulla vocale “a” dell’Alleluia, ma anche su altre vocali. Grandioso, ad esempio, lo iubilus sulla vocale “e” dell’Alleluia nell’antifona al Magnificat dei II Vespri del Corpus Domini. È di una meraviglia unica: provare per credere. L’entusiasmo generale è il clima che pervade le serate, grande segno della gioia profonda che produce lo stare insieme nel e per il Signore.