Dalla Diocesi

«Selva oscura e meravigliosa»: una camminata teatrale nei boschi

di Andrea Mancini

A partire dai testi di Giuliano Scabia, il grande poeta che si sposò a San Miniato una quarantina di anni fa e che visse parte della sua vita a Ponte a Egola, nella casa di sua moglie, Cristina Giglioli.

Appuntamento alle 18 davanti al Museo della Civiltà Contadina di Montecastelli, ci si sposta con le macchine, saremo una cinquantina di persone, molte se si pensa al luogo scenico e alla relativa difficoltà di inerpicarsi lungo una sorta di sassosa mulattiera, verso la parte alta di questi che sono rilievi pre appenninici, già «colline metallifere», terre di miniere e di paesaggi mozzafiato. Arriviamo ad un parcheggio, a fianco della strada e iniziamo a salire, dopo qualche centinaio di metri la prima delle molte sorprese che ci attendono: la facciata di una magnifica chiesa romanica, quasi integra, anche se in parte consumata dal vento. La pietra giallo-rossastra con cui è costruita e anche Il luogo sono davvero affascinanti; davanti alla chiesa c’è un enorme quercia, che ricorda l’albero fotografato da Massimo Agus, presente anche nella locandina dell’evento. Quello dove su un ramo enorme siede Scabia, a deliziare di parole un gruppo di appassionati spettatori, seduti comodamente sulla parte destra dell’immagine. Lo spettacolo allora si svolgeva nella Villa di Lorenzo de’ Medici, a Careggi (Firenze), stavolta il luogo è più selvaggio, si snoda lungo un antico sentiero, riscoperto dai volontari che lo hanno ripulito dai rovi accumulati nel tempo. Siamo a pochi chilometri da San Dalmazio, piccolo centro molto amato da Margherita Hack, che consumava le sue vacanze nella Toscana bella.

Dopo qualche momento, dedicato allo stupore dei presenti, esce sulla porta, verso il sagrato, un buffo personaggio, con un cappello azzurro a forma di cavallo. Si tratta di una riproduzione, forse di carta o di legno, di Marco Cavallo, memoria di un laboratorio teatrale che Scabia realizzò a Trieste nel 1973, con i matti dell’Ospedale psichiatrico. Quando il cavallo fu portato fuori, insieme ai matti che lo avevano costruito, Franco Basaglia era lì, ad abbattere le mura del manicomio, che di lì a pochi anni avrebbe fatto definitivamente aprire. L’attore invece èil bravissimo Gianni Calastri, davvero intenso nel dare vita alla storia tratta da «Il ciclista prodigioso», ultimo, bellissimo romanzo di Scabia, pubblicato postumo da Einaudi, nel 2022, tutto giocato intorno A ad Ercole, figlio di Lorenzo, il ciclista del titolo, prodigioso come lui, come prodigiosi sono gli accadimenti cui andrà incontro, alla ricerca del padre, andato in India per suonare agli animali della foresta, con un magico violoncello.

Il lavoro di Calastri e dei suoi collaboratori (Marzia Grassi, l’altra attrice, più due musicisti, Dario Pucci e Giorgia Perugi, infine sei poeti: Roberto Veracini, Alessandro Togoli , Marzia Callai, Lorella Nardi, Raimondo Gambin, Manuela Mori), è stato quello di ridare vita al lavoro di un poeta che ha rinnovato dal di dentro il teatro. È partito da istituzioni e edifici tra i più importanti d’Italia: lo Stabile di Genova, il Piccolo di Milano, La Fenice e la Biennale di Venezia…, ma poi anche ne è venuto fuori, creando il teatro natura, il teatro di narrazione, l’animazione teatrale nelle scuole e negli ospedali psichiatrici, dando vita, cioè, a gran parte del teatro di oggi. Anche quello, appunto, consumato in eventi mitici, come le camminate dedicate da Scabia al suo «Teatro con bosco e animali», quelle al tramonto, lungo il tracciato dell’acquedotto del Poggianti tra Rosignano e Livorno, o quelle notturne, lungo il torrente Marecchia, vicino a Santarcangelo.

Ma ecco adesso l’omaggio a Scabia, che torna a ridare vita alla sua eredità. Un progetto ideato quattro anni fa da Roberto Veracinie Matteo Amodio, come appuntamento annuale da consumare in quello splendido territorio dove si dice che, anche Dante, abbia immaginato la sua Commedia. Da poeti a poeta, con un lavorio che ci piace definire mistico, di eccezionale delicatezza, sottolineata dalla luce che filtra nel fitto delle piante e poi esplode nel punto più alto – stazione di arrivo -: lì si ammira un paesaggio che avvolge e sconvolge, che sembra circondare l’azione, il teatro; sullo sfondo, misteriosi, i fumi dei soffioni intorno a Larderello, oggi convogliati dentro a enormi silos, per secoli liberi, a inquietare la montagna. Gli attori declamano la loro storia, e ogni volta ci stupiamo conquistati: l’epopea di Ercole, delle sue piante, dei suoi animali, della sua musica. Certo, alla lettura a tavolino, il libro non ci è parso così affascinante, come quando lo sentiamo recitare: Scabia ha sempre scritto per la scena, così come Omero e anche Ariosto; non si possono capire i loro poemi, se non li sentiamo cantare e declamare, le loro sono opere scritte da straordinari cantastorie cantimbanchi – assumono vesti fatate, basta portarle nei giusti contesti, dargli il necessario mistero.

Il teatro è viaggio, è scoperta di luoghi, trovare parole, canti, poemi letti e anche gridati. Giacché il tema scelto in questi boschi è una battaglia di civiltà, contro le battaglie di morte, le guerre, in particolare il genocidio che si sta consumando in Medio Oriente.Le parole dei poeti Scabia compreso, recitato con particolare impeto da Calastri e da Marzia Grassi – sono inermi, sembrano vuote di senso, sono grida nel deserto, vox clamantis. Di un Giovanni Battista che pare inascoltato, ma che certo ha lasciato la sua parola di pietra, la forte testimonianza di fede.Anche questo teatro può assomigliare a una voce, un sussurro, un alito flebile, ma può acquistare forza, diventare urlo, come quello di Munch, che continua a gridare contro la sopraffazione dell’uomo sull’uomo.

«Credo che la musica del Violoncello abbia creato un mandala – dice verso la fine un personaggio del “Ciclista prodigioso” di nome Lakhsman -, il cerchio che racchiude l’Universo. E Rajiv aggiunse: – Dentro cui forse c’era anche mio padre. – Sì disse Ercole – E come danzava! Fu allora che dal pubblico dei camminatori sorse un applauso, prima sommesso poi più forte e si videro su molti occhi emergere le lacrime».

Così lo Scabia del «Ciclista», così Gianni Calastri sull’alto colle di Montecastelli, dopodiché l’applauso scoppia vigoroso, da un pubblico commosso, arricchito, nella poesia che ha potuto ascoltare, rendere viva.