Aceti sfida genitori ed educatori a cambiare sguardo

«Se non diamo noi luce ai nostri figli, chi la darà?» 

di Francesco Fisoni

Giovedì 20 novembre al Centro pastorale Giovanni XXIII di Santa Croce sull’Arno, lo psicologo e formatore Ezio Aceti ha aperto il ciclo di incontri «La bellezza dell’educare», promosso dall’Ufficio per la pastorale familiare della diocesi di San Miniato. Un percorso in cinque appuntamenti che invita genitori ed educatori a ripensare radicalmente il proprio approccio educativo, partendo dalla comprensione profonda delle nuove generazioni e liberandosi dai pregiudizi del passato.

Conoscere un pochino di più per poter amare di più». Con questo obiettivo chiaro lo psicologo e formatore Ezio Aceti ha guidato genitori, insegnanti ed educatori in un viaggio attraverso le sfide e le opportunità dell’educare oggi, durante la prima serata del percorso formativo organizzato dall’Ufficio di Pastorale familiare della diocesi di San Miniato.

IL MONDO DI IERI E QUELLO DI OGGI

Aceti ha iniziato con un confronto netto tra due epoche educative. «Ai nostri tempi le norme e le regole muovevano il mondo», ha ricordato, mentre «oggi è l’emozione» a guidare comportamenti e scelte. La coerenza educativa di un tempo quando «il prete diceva una cosa, la scuola la stessa cosa e la famiglia la stessa cosa ancora» – è scomparsa, lasciando i giovani in una solitudine educativa senza precedenti. Il cambiamento, ha spiegato «C citando il filosofo Umberto Galimberti, è stato radicale: «In questi ultimi 40 anni, grazie ai media, a internet e ai social, sono avvenuti molti più cambiamenti che non nei 1980 anni che ci sono stati prima». Un bombardamento di stimoli che ha trasformato l’infanzia: «La testa di un bambino oggi dagli zero ai dieci anni riceve quarantasette volte più stimoli di quelli che abbiamo ricevuto noi», basta semplicemente osservare le loro camerette, ingombre di cose in una maniera un tempo impensabile. GLI

ERRORI DA EVITARE

Il relatore ha segnalato subito due approcci educativi sbagliati. Il primo è il revisionismo nostalgico: «Quelli che dicono era meglio una volta, quando si davano punizioni e castighi» anche per un brutto voto a scuola. Un atteggiamento che, pur mosso da buone intenzioni, non funziona più: «Semplicemente i vostri figli non vi capiscono». Il secondo errore è il modernismo che appiattisce le generazioni, non rispettando né l’età infantile né quella anziana. Aceti ha criticato duramente il giovanilismo di certi settantenni, che si comportano come fossero adolescenti e la tendenza mediatica a far vivere, invece, a bambini e ragazzi esperienze che non sono ancora della loro età, costringendoli a scimmiottare i grandi.

LA METAFORA DEL PELLICANO

Al centro della riflessione, Aceti ha posto la figura del pellicano immagine cristica – come modello educativo: «Il pellicano vola in alto, vede i pesci, li prende, li mastica, e li porge poi ai suoi piccoli pulcini, in un modo e in una consistenza che li rende capaci di assumere il nutrimento». Allo stesso modo, l’educatore deve «prendere i valori alti e darli ai bambini, ai ragazzi, come loro sono capaci di prenderli, non come li abbiamo “beccati” noi». Il problema fondamentale? «I bambini e i ragazzi non ci capiscono. E se io ti dico una cosa e tu non la capisci» il problema sta principalmente in chi emette il messaggio. Da qui la necessità di conoscere davvero i bambini e i ragazzi, liberandosi dai pregiudizi, per calibrare meglio la nostra comunicazione verso di loro.

CONOSCERE PER EDUCARE

Con passione, Aceti ha quindi sottolineato l’importanza della formazione specifica: «Non ho mai trovato un bambino capriccioso nella mia vita», ha dichiarato, spiegando che ciò che appare come capriccio è semplicemente una logica diversa, ancora egocentrica, che va compresa. E su questa linea ha condiviso i suoi tre «sogni» educativi: stabilire incontri obbligatori per neo-genitori, e obbligo di esami sulla psicologia infantile all’Università per insegnanti e sacerdoti. Perché «fino ai 6-7 anni i bambini bevono tutto da noi. Siamo noi il Dio in terra per loro», e l’ignoranza educativa può causare, da questo punto di vista, danni enormi.

LA CHIAMATA ALLA LUCE

Nella parte conclusiva, Aceti ha citato Etty Hillesum, che nel campo di concentramento si chiedeva dove fosse Dio, per poi comprendere: «Ma se non lo faccio vivere io Dio, chi lo fa vivere?». Una domanda che diventa provocazione per tutti gli educatori: «Se non diamo noi luce ai nostri figli, alla generazione che segue, chi la darà?». La risposta non può essere lasciata ai media o agli influencer. Aceti ha concluso presentando la «magna charta» dell’educare in cinque punti: prendere atto dei pensieri dell’altro; costruire situazioni ove l’altro possa provare successo e non fallimento; dare senso e controllo alla vita; passare l’idea che si è sempre degni d’affetto; e infine mostrare un’immagine positiva di sé. E soprattutto, ha ricordato san Giovanni Bosco e la sua pedagogia del positivo: «Non si può educare col muso lungo». Un invito chiaro a genitori ed educatori: uscire dalla lamentela, guardare con occhi nuovi, sostenere con fiducia. Perché, come ha ricordato, la crisi non è una fine ma «sempre un passaggio da una realtà all’altra».