È stato invitato monsignor Giovanni Roncari, vescovo di Pitigliano-Sovana Orbetello e di Grosseto, a tenere quest’anno i ritiri al clero sanminiatese. Il primo incontro si è svolto lo scorso 10 ottobre. Pubblichiamo il contenuto della sua meditazione.
«Perché credo in Dio?». È stato da questa domanda che monsignor Roncari ha dato avvio alla sua riflessione spirituale in occasione del primo ritiro del clero, lo scorso 10 ottobre a San Miniato. «Può sembrare una domanda retorica – ha detto -, ma in realtà è una domanda che bisogna farci. Nel cristianesimo parlare di Dio vuol dire anche parlare dell’uomo, e viceversa, perché Dio si è fatto carne e l’umanità di Gesù è assolutamente necessaria per arrivare a Dio. Altrimenti rischiamo di costruire su un’idea di Dio che non è il Dio della Bibbia, che non è il Padre del Signore nostro Gesù Cristo».
Il vescovo Roncari ha sottolineato che ogni uomo, in virtù di questo, può parlare di Dio. Citando Paolo VI ha ricordato che «le religioni sono le mani dell’uomo verso Dio. Il cristianesimo è la risposta di Dio a quelle mani alzate». È questo, ha proseguito, «che ci rende persone più tranquille, più ben disposte verso le esperienze religiose che non coincidono con il cristianesimo. Ma per quanto ci riguarda, bisogna partire dalla Sacra Scrittura, dalla rivelazione. Senza disprezzare le mani alzate dell’uomo». Ecco allora la chiave che monsignor Roncari ha indicato per la risposta alla domanda iniziale e per la vita dei preti: partire dalla Sacra Scrittura, dalla Parola di Dio. «Il Giubileo può essere anche l’occasione favorevole per fare grata memoria della propria vocazione e del proprio essere preti, nonostante molta letteratura attuale sottolinei le nostre incertezze, le nostre fatiche, i nostri fallimenti, tutto sembra mettere grossi punti interrogativi sul nostro ministero. Qualche interrogativo, certo, possiamo porcelo: e allora partiamo dal nostro Battesimo – ha suggerito Roncari -.
Per capire il ministero bisogna partire dal Battesimo. Il Battesimo ci ha reso cristiani e il ministero ci rende persone al servizio del Popolo di Dio, di cui siamo parte. Ricordiamoci la data del nostro Battesimo, chi ci ha battezzato, dove siamo stati battezzati. Senza dubbio ricordiamo la data della nostra Ordinazione e chi ci ha ordinato. Ma partiamo da prima ancora, partiamo da quando, coinvolti nel Mistero pasquale di Cristo, con lui siamo risorti alla vita immortale. Partiamo da quella grazia di Dio che ci è stata data e che in questi giorni noi stiamo mettendo a fuoco».
A questo punto il vescovo Roncari ha offerto un secondo suggerimento: «Teniamo presente quello che la Chiesa ci fa leggere quotidianamente, nella ferialità della vita, nella Messa, nell’Ufficio delle letture, quello che tutta la Chiesa legge in questi giorni, a San Miniato come a New York e dovunque. Così facendo – ha spiegato – introduco la mia piccola storia nella grande storia della grazia di Dio, che sono chiamato a condividere e a meditare con tutti gli altri cristiani». Per parlare della nostra fede, quindi, bisogna partire dalla Parola di Dio e dal sacramento, non dell’Ordine, ma del Battesimo (e della Cresima) che abbiamo ricevuto. Il clericalismo nasce dal “dimenticare” il Battesimo per concentrarsi sul sacramento dell’Ordine. Così questo sacramento dovrebbe giustificare se stesso, mentre se è legato al Battesimo non ha bisogno di giustificarsi. È il carisma che viene dato per l’utilità comune (cfr 1Cor 12)».
Roncari ha poi affrontato il tema della Parola di Dio da ascoltare nella concretezza del tempo che stiamo vivendo: «È l’ascolto della Parola che crea il tempo favorevole della nostra salvezza. Q L’interpretazione della Sacra Scrittura è condizionata in senso positivo dai tempi che stiamo vivendo. «La storia ci insegna che la dottrina nasce dalla predicazione e la predicazione nasce dall’incontro. Permettetemi- ha detto allora – di ricordare alcuni esempi di questo modo di procedere. Il ritardo della Parusia, il rapporto col paganesimo, hanno posto dei problemi alla Chiesa primitiva, che li ha affrontati dando delle risposte. È la concretezza della storia che ci interpella, che ci chiede di rispondere. Dobbiamo tenere conto del mondo nel quale viviamo, accettare la complessità del nostro tempo. Lasciamo che altri si lamentino di come va il mondo. Noi dobbiamo portare una parola di speranza. E perché sia parola di speranza deve fondarsi su una serie dei fatti: nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, è morto ed è risorto il terzo giorno, di nuovo tornerà nella gloria. La fedeltà di Dio ai fatti precedenti ci autorizza a dire che di nuovo tornerà nella gloria. La nostra speranza è fondata su Gesù Cristo». E tutto questo tenendo conto anche dell’esasperato individualismo della nostra società, del fatto che la Chiesa come istituzione non gode di grande rispetto e considerazione, dobbiamo tener conto della nostra situazione come i nostri padri tennero conto della situazione dei loro tempi e hanno saputo dare una risposta».
Il vescovo Roncari ha poi annunciato che nei prossimi ritiri affronterà un tema importante per il nostro ministero dei preti, come confessori: il tema delle «illusioni» riguardo alla fede, degli errori ma proprio delle illusioni! Ha infine preso spunto da qui per un’altra esortazione: ha invitato il clero ad affrontare il Giubileo con le catechesi sulla confessione nelle parrocchie, spiegare perché ci si confessa, e anche che cosa sia l’indulgenza, una realtà che stata condizionata dai tempi, anche in maniera sbagliata in alcuni casi, ma che La Chiesa ha chiarito, con Indulgentiarum doctrinadi Paolo VI. L’indulgenza è fondata sulla realtà del Corpo mistico, su verità che affondano le radici nel Vangelo e che dobbiamo riscoprire, ripresentare, rispondendo alle domande che oggi la gente, la situazione, noi stessi possiamo porre. «Un’ultimissima cosa – ha aggiunto monsignor Roncari -.
Bisogna chiedere al Signore, in una vita sobria, in una vita dedicata alla preghiera, allo studio, di testimoniare la nostra felicità di essere preti. La gente ce lo deve leggere in faccia di essere persone contente, di essere al servizio di Dio. Siccome lo Spirito di Dio che abbiamo noi è lo stesso che hanno gli altri, la gente lo avverte se ha davanti un prete contento di essere prete, con tutti i suoi limiti, oppure un prete stufo».