Guliana di Cornillon era come tormentata da un sogno ricorrente: una luna sfolgorante, cui mancava appena uno spicchio per essere completamente piena. Dopo lungo interrogarsi, dopo digiuni e preghiere, Gesù le fece intuire che quella luna incompleta simboleggiava il ciclo liturgico della Chiesa, monco di una celebrazione: quella per il Corpus Domini, il Corpo di Cristo presente nell’Eucarestia.
Giuliana era una semplice monaca di clausura, ma caparbia e innamorata del suo Signore. Per cui niente riuscì a trattenerla dal portare la sua ispirazione prima al vescovo di Liegi, poi ai legati pontifici, infine al Papa, il quale nel 1264 promulgò per tutta la Chiesa, la nuova festa, fissata al giovedì dopo la solennità della Trinità.
Sarà addirittura il maggior genio del secolo, Tommaso d’Aquino, a comporne l’ufficio liturgico. E per restare in tema di Eucaristia: capace di suggestive meditazioni, sospese tra mistica, scienza e poesia, era il professor Enrico Medi che, riflettendo sull’ostia consacrata, affabulava sul come l’aver provvisto l’uomo di bocca, esofago e apparato digerente, rappresenterebbe l’evoluzione programmata dal Creatore affinché noi potessimo mangiare e “digerire” in noi Dio.
Un altro spunto: ricordava Vittorio Messori come Elémire Zolla si fosse a lungo chiesto il perché dell’importanza data dal Cristo al pane, sino al punto da identificarvisi: «Io sono il pane di vita, io sono il pane disceso dal cielo». Folgorante la risposta che alla fine si dette: il fatto è che il pane è un alimento di semi e non di frutti. «È qualcosa di germinale e, dunque, di spirituale. Ed è solo lo spirito che vivifica. L’energia del pane – come quella del Cristo – è quella di un seme che si sacrifica, di un fermento che, rinunciando alla vita che ha in sé, dà la vita ad altri».
Ancora un passaggio: qualcuno forse ricorderà la scena finale del film “Mission” di Roland Joffé (1986). Siamo a metà ’700 nelle missioni dei gesuiti presso le popolazioni Guaranì del Sud America, minacciate dai colonizzatori portoghesi. Da subito si prospettano due alternative per i Guaranì: la resistenza armata o la resistenza non violenta e il martirio. Attorno all’ostensorio eucaristico, impugnato come un vessillo, si realizza la seconda. Il film termina con una dissolvenza memorabile: padre Gabriel, interpretato da Jeremy Irons, guida un “popolo eucaristico”, inerme, contro gli invasori; colpito a morte dai fucilieri lusitani, cade insieme all’ostensorio, che viene raccolto da un indio e portato ancora oltre, a staffetta, sotto le bocche da fuoco. È una metafora straordinaria del Cristo fratello nel martirio dell’uomo.