Non capita tutti i giorni d’incontrare gli «angeli». Incontrarne poi cinque in una volta sola, è un po’ come imbattersi nella perla preziosa di evangelica memoria. Si, perché i ragazzi che stanno svolgendo in questi mesi il loro Servizio civile nella nostra Caritas diocesana, sono un po’ «angeli» (senza ali!) e ascoltarli è come fare un bagno sotto uno scroscio torrenziale di entusiasmo, creatività, passione e soprattutto tanto spirito di servizio. Pienamente operativi dallo scorso ottobre, sono stati destinati ad alcune tra le mansioni più delicate, nelle quali il nostro ente diocesano preposto alla carità sprigiona al meglio la sua ragion d’essere. Siamo andati a conoscerli nella loro sede operativa di San Miniato, durante un briefing guidato dalla loro team leader, la psicologa Elisa Salvestrini.
Un momento in cui fare il punto della situazione, aggiustare il tiro e programmare gli interventi futuri. Ci accolgono con calore a cui non è indifferente una certa curiosità: sono sorpresi, quasi divertiti, all’idea di suscitare l’attenzione della carta stampata. «Il gruppo è nato a settembre – ci dice proprio la Salvestrini – scelto con cura in seguito a colloqui mirati. I compiti affidati a questi ragazzi sono di una certa criticità e richiedono significative capacità di empatia e autonomia. Per questo motivo la selezione è stata “severa”. Era necessario trovare persone disponibili al servizio, che avessero voglia di mettere in gioco un intero anno della loro vita. Abbiamo poi guardato anche all’intraprendenza, allo spirito d’iniziativa di chi andavamo a selezionare». Formare gruppi di questo tipo significa capitalizzare un patrimonio umano e di competenze straordinario. Poi però, dopo un anno, alla fine del Servizio, accade l’inevitabile “rompete le righe”; a questo proposito chiedo alla Salvestrini cosa vede maturare in questi mesi, che potrà invece restare come lascito per Caritas: «Niente si perde. Tanti ragazzi che negli anni scorsi sono stati con noi, una volta terminato il Servizio effettivo, hanno finito poi per gravitare attorno ai nostri presidi di aiuto. L’arricchimento che portano dinamizza le nostre realtà; sono essi stessi a proporre nelle strutture in cui sono impiegati, dinamiche intergenerazionali interessanti. Questi ragazzi lasciano insomma un segno che non si cancella. Oltretutto il fermento che generano viene poi passato, come un testimone, al gruppo che verrà dopo di loro».
Per Elettra 20 anni, la più giovane della pattuglia, l’anno in Caritas si sta rivelando un’esperienza di rigenerazione. Si professa non credente ma è ammirata nell’osservare nella Chiesa questo esubero di disponibilità al servizio del prossimo, «un nucleo di principio – ci dice – che dovremmo poter ritrovare in ogni contesto sociale. In questo senso la Chiesa, con il braccio Caritas è veramente maestra di vita autenticamente umana». Elettra è impegnata nei centri di ascolto e negli sportelli di sostegno al lavoro che Caritas ha attivato alla fine dello scorso anno: «Davanti agli utenti sto maturando la consapevolezza che una persona l’aiuti anche semplicemente ascoltandola, senza per forza vivere sotto la pressione di voler dare soluzioni ai problemi. La presenza e la giusta distanza sono già terapia per chi porta un problema».
Dimitri, 30 anni di Galleno, laureato in Scienze della comunicazione, ha incrociato inizialmente la Caritas a Barcellona, dove si trovava per un master universitario in coaching. Appena rientrato ha scelto di svolgere il Servizio civile per spendere al meglio le competenze acquisite. Presta servizio nelle case famiglia di Montopoli e La Rotta, dove fa ascolto e supporto alla strutturazione del tempo per donne in difficoltà. Ci racconta come gli strumenti del coaching lo stanno indirettamente aiutando a relazionarsi con queste situazioni critiche: «Innanzitutto questa esperienza mi sta permettendo di fare giustizia di alcune errate percezioni che avevo, come ad esempio credere che Caritas fosse solo “il cassonetto giallo” per la raccolta degli indumenti. È stata invece la scoperta sorprendente di una galassia pulsante di realtà vive, anche molto differenti tra loro. È sicuramente un arricchimento per me poter contattare il mondo del disagio e della privazione. Un affaccio su realtà che altrimenti sarebbero rimaste distanti da me. Un’esperienza che sta facendo lievitare il mio orizzonte valoriale, aiutandomi in un certo senso a riorganizzare la mia personale gerarchia delle priorità. Osservo infatti quanto sia prezioso avere del tempo da dedicare a queste persone in difficoltà».
Tania, 30 anni di Perignano, attiva nella sua parrocchia è da poche settimane psicologa. È insieme a Dimitri la decana del gruppo e come lui presta servizio nelle case famiglia della diocesi. Ci racconta della bellezza e della novità – per esempio – sperimentata nell’imparare a prendere in braccio neonati, perché le mamme con cui ha a che fare nelle strutture la ingaggiano, le chiedono aiuto e «non ti puoi sottrarre – dice – ti devi buttare». Questo sta generando in lei un forte coinvolgimento emotivo, che è anche crescita per il suo “saper essere”. Forse anche per questo gli altri ragazzi la considerano, con affetto, un po’ la “mamma” della squadra.
Poi c’è Andrea, che ha 20 anni e viene da Ponsacco, studia Scienze della comunicazione e fa lo speaker alla radio degli studenti dell’Università di Pisa: «Sono al centro di ascolto proprio a Ponsacco, dove aiuto nella distribuzione del cibo del fresco. Da un po’ di tempo abbiamo infatti attivato una convenzione con un grosso discount di zona, che tre volte a settimana ci porta l’invenduto, che noi mettiamo a disposizione degli utenti. Da quando sono qui, ho incontrato davvero tante storie; alcune divertenti, capaci anche di strapparti un sorriso, altre molto strazianti» Ci confida la pena che prova nel vedere genitori che vengono con i bimbi a prendere il cibo, perché non hanno di che vivere, «una pena che ti strozza il cuore in gola».
Alice 22 anni, viene invece da Le Pinete, laureanda in Scienze del servizio sociale, si è ritrovata catapultata in questa specie di “paese delle meraviglie” dopo un tirocinio presso il servizio di emergenze e urgenze sociali di Castelfranco. «È l’esperta del gruppo sulle pratiche burocratiche», dicono scherzando gli altri ragazzi, sempre aggiornatissima su orari, turni, report, ecc. Il primo giorno in casa famiglia a San Miniato per lei è stato un trauma. Pensava di non farcela, poi piano piano ha preso le misure al suo incarico e adesso sente di essere diventata un punto di riferimento per le donne che lì si trovano. La laurea per lei è all’orizzonte e i 4 compagni, con cui sta affrontando questo particolare viaggio in Caritas, sono già da adesso invitati alla discussione della sua tesi. Insomma, non c’è che dire: una bella storia di servizio e amicizia, scritta proprio ai nostri giorni e alle nostre latitudini.
Non finiremo mai di ringraziare ragazzi così, che ci danno ancora ragionevoli motivi per credere che per questo mondo, in fondo, c’è speranza.