La vita dell’uomo è popolata di presenze. Presenze visibili e vicine come quella di una madre che veglia sul bimbo che gioca o che riposa. Presenze invisibili come quella di due persone che si amano, si pensano e s’incontrano al di là della distanza e della lontananza del corpo.
Presenze che procurano quiete, soddisfazione, sicurezza, e presenze tempestose, sconvolgenti, che incombono come una minaccia…
Il significato di una presenza
Sul piano dell’esperienza umana profonda, l’uomo fa l’esperienza singolare di una presenza misteriosa ma reale che tocca il centro del suo essere; una presenza che ispira un ineffabile sentimento di fiducia, di sicurezza e che lo appella nell’intimo. È la rivelazione e la presa di coscienza della presenza creatrice di Dio che ci fa esistere, di quel Dio «nel quale viviamo, ci muoviamo, ed esistiamo» (At 17,28), una presenza che «sostenta» l’uomo, lo «nutre» (prima lettura).
La presenza di Dio in mezzo a noi ha assunto, nella storia, la forma visibile e tangibile di Gesù, immagine visibile del Dio invisibile, rivelatore del mistero del Padre. La sua incarnazione e nascita a Betlemme, da Maria vergine, al tempo di Cesare Augusto, è l’apice di una lunga serie di segni attraverso i quali il Dio vivente aveva fatto sentire la sua presenza (Patriarchi, Re, Profeti, Santi dell’Antico Testamento…). Dopo l’Ascensione che lo sottrae alla sensibile esperienza degli uomini, la presenza di Gesù cambia segno ma non realtà. Egli resta e si dona sotto il segno del pane spezzato e del vino, nei quali offre il suo Corpo in cibo e il suo Sangue in bevanda di salvezza e di vita (seconda lettura e vangelo). Egli rimane con noi sino alla fine del mondo.
Noi facciamo «memoria» di lui
Ora noi possiamo incontrare Gesù attraverso la «memoria» di lui, specialmente la «memoria» liturgico-sacramentale. Durante la celebrazione liturgica noi facciamo, infatti, memoria di Gesù, della sua vita, della sua morte, della sua risurrezione, rendendolo in tal modo presente in mezzo a noi. Non si tratta, però, di una presenza disincarnata, di una memoria che si affida solo al ricordo. Si tratta di una memoria che attraverso i segni del pane e del vino mangiati e condivisi dalla comunità, rende presente Cristo nella sua realtà e nel mistero che ci vengono comunicati.
Poiché Cristo è al centro e al vertice di tutta la storia della salvezza, l’Eucaristia, memoriale della sua passione-morte-risurrezione, è ricordò e celebrazione di tutta la storia della salvezza: lo è delle vicende di Israele, «popolo di Dio»; della vita di Cristo; della storia e della vita attuale della Chiesa, «nuovo popolo di Dio». Che cosa si deve intendere per «memoria»? Nella memoria si conserva il passato. Ogni evento umano si compie in modo transitorio: unico e irripetibile. Non lo possiamo trattenere né richiamare quando è passato. In questo sta il suo valore ed anche il suo limite, la sua preziosità e la sua transitorietà, la sua bellezza e la sua impotenza.
Possiamo tuttavia richiamare il passato col ricordo. Per questo teniamo desta la sua memoria. Di talune opere e persone si dice che sono imperiture. Hanno valore storico. Affinché la loro memoria in noi non si spenga, ricordiamo queste opere o queste persone con un segno, un monumento, una stele, una fiamma perenne…
Una memoria viva, memoria di fede
Il sacrificio eucaristico è una forma di memoria sostanzialmente diversa dalle altre. Ci si ricorda del Signore anche nella forma sopra descritta, quando viene innalzata una croce in ricordo della passione. Ci si ricorda di lui quando si legge insieme il vangelo o si compiono certi gesti che evocano quelli di Gesù (= sacramenti). Il carattere di memoria proprio dell’Eucaristia verrebbe sottovalutato se lo si riducesse solo ad una di queste forme. Essa non è memoria psicologica nel senso di un ricordo, né semplicemente oggettiva nel senso del monumento.
È una commemorazione di specie tutta propria, in cui l’elemento psicologico e quello ontologico si congiungono in una unità superiore. Non è una memoria puramente intenzionale, ma una memoria piena di realtà. I Padri la chiamano spesso una «imitazione» della morte di Gesù Cristo. Tuttavia essa non è una riproduzione in senso esterno, bensì nel senso di un’intima unione, in quanto nell’Eucaristia per mezzo del simbolo sacramentale è presente la morte di Cristo.
L’Eucaristia è un’epifania sacramentale della Pasqua, e ciò si può conoscere soltanto per mezzo della fede. L’Eucaristia è, quindi, una memoria di fede.