Intervista

Padre Sergianni sull’accordo tra Cina e Santa Sede

La Redazione

Vatican News ha intervistato padre Antonio Sergianni, che è stato per 24 anni missionario in Cina. Originario della nostra Diocesi, dove svolge attualmente il suo servizio pastorale, padre Sergianni ha commentato l’accordo tra Cina e Santa Sede, firmato il 22 settembre scorso, dopo un lungo cammino di avvicinamento durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

«L’accordo è stato accolto dalla gioia dei fedeli – ha osservato padre Antonio -. Ho saputo che un vescovo perdonato dal Papa ha invitato i presbiteri della sua zona a celebrare l’evento, e sono stati contenti. Certamente era tanta l’attesa. Due settimane fa ero in Cina, ho potuto incontrare delle persone – sacerdoti, vescovi e anche rappresentanti del governo -, e tutti mi dicevano che aspettavano con grande attesa questa firma; anche con qualche perplessità, però c’era una grande speranza e una grande attesa della Chiesa. Certo, ci sarà ancora da soffrire – dicevano loro – ma se rimane e aumenta un clima di fiducia, si potranno superare le difficoltà future».
Certo, ha notato ancora padre Sergianni, guardare avanti non vuol dire cancellare il passato o ignorare le sofferenze che ci sono state, ma «la Risurrezione è frutto della Croce. Cristo, risorgendo, non ha negato la sua morte, ma l’ha trasformata».
Secondo il missionario questo accordo potrà, alla lunga, favorire la crescita della Chiesa cattolica in Cina. «Con questo accordo si tolgono tanti ostacoli al processo di riconciliazione. Aumenterà il clima di fiducia, la conoscenza reciproca, gli scambi di informazione, la circolazione dei vescovi. Questo sarà uno dei primi frutti che verrà da questa firma, perché della Cina si conosce poco in Europa, della situazione concreta, reale che vivono i nostri fratelli cinesi. Però, aumentando il clima di fiducia anche tra le autorità vaticane e quelle cinesi, ci sarà una maggiore circolazione di idee e di persone, di incontri, di iniziative, e piano piano tutto questo aiuterà. Non dall’oggi al domani: è un processo. Questa firma è un anello, un passo: è l’anello di una catena, di un processo, che poi deve svilupparsi piano piano».
Un aspetto importante di questo accordo, i cui dettagli ancora non si conoscono, è che l’ultima parola riguardo alla nomina dei vescovi viene lasciata al Papa. «Il governo ha accettato la costituzione di una nuova diocesi; ha accettato il perdono di questi vescovi; ha accettato che il Papa esercitasse la sua funzione di guida spirituale e gerarchica nella Chiesa cattolica in Cina. Da quello che si sa, la nomina dei vescovi sarà una prassi condivisa. La Santa Sede accetta, come soluzione provvisoria – da vedere, da migliorare – che il processo di designazione dei candidati, dei vescovi, avvenga dal basso, dalle comunità ecclesiali, anche con un intervento degli organismi statali. Mentre il governo, da parte sua, accetta che la decisione finale, cioè se un candidato non è gradito, non è ritenuto all’altezza da parte del Papa, accetta la decisione finale, cioè si ricomincia da capo. Questo è quello che appare, però i dettagli non sono conosciuti. Tuttavia, c’è il fatto che accetta che l’ultima parola sulla nomina spetta al Pontefice; quindi la nomina dei vescovi viene lasciata al Successore di Pietro. Per quanto riguarda i vescovi ordinati da Roma e non riconosciuti dal governo, certamente ci sarà un processo di riconoscimento. Si andrà a vedere caso per caso. Certamente questo è uno dei problemi da risolvere. Questa firma è una base, è una condizione per risolvere dei problemi che ancora sono sul tappeto, e sono tanti. Un’altra questione importante è quella della formazione. Adesso più che mai il punto fondamentale è la crescita e la qualità della fede; aiutare le coscienze dei fedeli a maturare nella fede, perché tutto è nell’ambito della fede – ha concluso p. Sergianni -. Non è un discorso politico: è un discorso pastorale, ecclesiale, di fede. Il problema è la formazione dei presbiteri che sono isolati, il sostegno ai vescovi che sono isolati … Quindi sarà una sfida anche per il Vaticano aumentare la capacità di contatti e l’aiuto nella formazione».