È stato monsignor Erio Castellucci, abate di Modena-Nonantola, il relatore del 48° Convegno Catechistico Diocesano che si è svolto a San Miniato Basso lo scorso 2 settembre. Se lo svolgimento del convegno, a causa dell’emergenza covid, è stato più breve del solito, il tema trattato è stato rilevante: la presentazione del nuovo Direttorio Catechistico Generale. «Una summa – ha spiegato monsignor Castellucci – un riassunto ben articolato di tutto ciò che riguarda la catechesi».
Di questo testo, ampio e ben congegnato, il vescovo di Modena ha evidenziato alcuni punti fondamentali. Il primo è stato quello della «gioia», una parola cara a papa Francesco, che ricorre abbondantemente anche nel testo del Direttorio. «Una parola che difficilmente associamo all’essere catechisti – ha notato monsignor Castellucci – perché essere catechisti è impegnativo, è un sacrificio. Molti devono ritagliarsi il tempo per fare catechismo tra lavoro, famiglia e tanti altri impegni. Ma essere catechisti di una buona notizia, del Vangelo, dev’essere un esercizio di gioia: la gioia cristiana cristiana che nasce dalla consapevolezza di essere amati da Dio. La catechesi nasce dal desiderio di trasmettere anche ad altri questa gioia. Altrimenti sarebbe solo un peso». All’«esercito di volontari» impegnati ogni anno nelle parrocchie sul fronte della catechesi, monsignor Castellucci ha proposto una sorta di manifesto, tratto dall’incipit della prima lettera di Giovanni: «Ciò che noi abbiamo udito, ciò che abbiamo veduto con i nostri occhi e che le nostre mani hanno toccato, cioè il Verbo della vita, noi lo annunziamo a voi, perché la nostra gioia sia piena».
Una citazione strana: ci aspetteremmo che l’apostolo Giovanni dicesse «la vostra gioia sia piena». Ma veramente ciò che dà più gioia, ancor più del ricevere il Verbo della vita, è l’atto di trasmetterlo. Un secondo punto fondamentale individuato da monsignor Castellucci è stato quello relativo all’interlocutore. Mentre in passato si usava parlare di «destinatario», e il catechismo era comunemente detto «dottrina», oggi si preferisce parlare di interlocutore e di percorsi. Non si tratta semplicemente di riempire la testa di nozioni ma di vivere insieme delle esperienze. Il mutamento nell’attenzione della Chiesa verso il mondo, determinato dal cambiamento dello scenario globale, ha avuto effetti anche sulla catechesi. «A partire dal Concilio Vaticano II – ha ricordato monsignor Castellucci – la Chiesa ha guardato in modo più positivo allo sviluppo del mondo e ha superato l’atteggiamento di scontro frontale con le realtà secolari. Questo ha portato anche a un approccio nuovo nei confronti delle persone da catechizzare. Dato che non si può più presupporre una base comune di valori, occorre puntare su quella che Giovanni Paolo II chiamava nuova evangelizzazione.
Concretamente occorre dare valore alla narrazione del Vangelo e della Bibbia che si intreccia con l’esperienza quotidiana, per far capire che, come Dio ha parlato in passato a un popolo di dura cervice, oggi parla anche a noi». Di qui l’importanza di proporre ai bambini e ai ragazzi delle testimonianze, degli incontri con persone concrete che raccontano esperienze di vita. Lo stesso contenuto trasmesso come idea o attraverso una testimonianza ha un’incidenza molto diversa. Se il Direttorio Generale del ’71 teneva già conto dello scenario di caduta dei valori che esigeva un rinnovamento della catechesi (dalla dottrina al catechismo), il Direttorio del ’97 proponeva un ulteriore passaggio, dal catechismo all’iniziazione cristiana, sottolineando come gli stessi Sacramenti siano fonte di catechesi. Diversamente dalla concezione ancora molto diffusa, i Sacramenti non sono la conclusione, l’esito ma il punto di partenza di un percorso. Le catechesi mistagogiche seguono i Sacramenti, approfondiscono la consapevolezza del dono ricevuto. Secondo il principio per cui la realtà precede l’idea, la dottrina scaturisce dal gesto liturgico già compiuto.
Un ultimo punto sottolineato da monsignor Castellucci è stato quello relativo al nuovo scenario che caratterizza il nostro tempo rispetto al 1997. «C’è stato un fenomeno nuovo, gigantesco: il fenomeno del digitale. Una rivoluzione paragonabile al passaggio dalla cultura orale a quella scritta. In che modo possiamo porre la mentalità digitale al servizio della fede? San Paolo oggi avrebbe usato i social – ha notato monsignor Castellucci -. Gesù nelle sue parabole avrebbe usato immagini legate a twitter, a instagram…». Non si tratta solo di spostare gli incontri di catechismo online, ma di vivere il digitale come uno strumento nuovo con caratteristiche proprie, interattivo e dotato di grandi potenzialità. Potrebbe essere utile, ad esempio, mettere a disposizione dei catechsiti, sul web, materiale adattabile e fruibile per creare percorsi tematici, suggerendo anche – a livello locale – persone, luoghi, arte (la via della bellezza è un altro grande tema affrontato nel Direttorio).
L’ultimo richiamo però è stato ancora alla gioia. Al di là dei metodi e delle nuove tecnologie, se c’è qualcosa che può perforare il muro dell’indifferenza nei giovani e nelle famiglie – ha concluso monsignor Castellucci – è la testimonianza della gioia cristiana.
Sotto la replica YouTube del Convegno