Vocazione, ministero e formazione del catechista è il titolo del Convegno catechistico diocesano che si è tenuto il 3 settembre a San Miniato Basso, nella chiesa della Trasfigurazione. Intervento di Don Pietro Biaggi, presbitero della diocesi di Bergamo, docente di catechetica con un’esperienza straordinaria come Direttore del servizio nazionale per la Catechesi della Conferenza Episcopale Francese.
Slides e Video del Convegno
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Quello del catechista è un ministero antico come la Chiesa, che papa Francesco ha portato alla ribalta col recente motu proprio «Antiquum ministerium».
Questo documento è stato oggetto di riflessione nel 49° convegno catechistico diocesano, svoltosi a San Miniato Basso lo scorso 3 settembre. Don Pietro Biaggi, sacerdote della diocesi di Bergamo e docente di catechetica, relatore del convegno, ha notato come la figura dei catechisti sia attestata già nel Nuovo Testamento. San Paolo enumera tra i ministri a servizio della comunità cristiana anche i maestri, che hanno una loro specifica vocazione, distinta da quella dei sacerdoti e dei profeti (Cfr 1Cor 12,28-29). Essere catechisti è quindi veramente un «antico ministero» e una modalità specifica in cui si esprime la vocazione battesimale.
L’intera bimillenaria storia dell’evangelizzazione attesta quanto sia stata efficace l’azione dei catechisti: laici e laiche che hanno preso parte alla diffusione del Vangelo attraverso l’opera dell’insegnamento. Il sistema che ha caratterizzato la catechesi nelle nostre comunità per cinque secoli, era basato su quattro elementi: una classe, un maestro, un libro (il catechismo) e un metodo (domanda e risposta). Erano oggetto dell’apprendimento il Credo, i Sacramenti, i Comandamenti e la Preghiera. La finalità era quella di preparare i piccoli ai Sacramenti dell’iniziazione cristiana. La presenza della fede si dava per scontata e si riteneva che bastasse un approfondimento di quello in cui già si credeva.
Questo sistema, apparentemente così solido, è crollato nel giro degli ultimi 40 anni col venir meno del cosiddetto «catecumenato sociale». I profondi cambiamenti culturali, la secolarizzazione, il soggettivismo, il pluralismo dei valori, la crisi della famiglia sono fenomeni da tempo sotto gli occhi di tutti che hanno reso sempre più difficile la trasmissione «tradizionale» della fede.
Don Biaggi ha quindi portato lo sguardo verso il futuro, riprendendo le indicazioni di papa Francesco: «Fedeltà al passato e responsabilità per il presente», guardare cioè alla vita delle prime comunità cristiane per trovare nuove espressioni della catechesi più adeguate al nostro tempo. «Non è soltanto una questione di metodi, ha sottolineato il relatore». I metodi sono essenzialmente due: uno esperienziale, che parte dal basso, e uno più di annuncio, che parte dalla Rivelazione. Entrambi i metodi sono validi, a patto che si abbia il coraggio di proporre la Parola di Dio, viva ed efficace al di là di ogni nostra aspettativa. Il tema del primo annuncio, nella duplice accezione di evento originante della fede (in senso temporale) e di annuncio fondamentale della fede (in senso qualitativo) è stato l’altro tema centrale della conferenza di don Biaggi. Le forme di evangelizzazione di strada o sulle spiagge, o il semplice «esporsi come credenti» nelle concrete situazioni della vita sono esempi di «primo annuncio», non richiesti ma che possono suscitare interesse e invitare a un cammino di fede.
L’istituzione del ministero del catechista, infine, come ministero stabile e laicale, può essere per noi un richiamo all’importanza del discernimento e della formazione dei catechisti. Formazione non necessariamente di tipo accademico. «Il catechista è persona della memoria e della sintesi», riprendendo una suggestiva definizione di papa Francesco, che custodisce e alimenta la memoria di Dio e la sa risvegliare negli altri.