Una preziosa occasione di formazione spirituale per tutta la diocesi è stata offerta domenica scorsa da padre Raniero Cantalamessa, frate cappuccino, ottantacinquenne, da quarant’anni predicatore della Casa Pontificia, che nella chiesa della Trasfigurazione a San Miniato Basso ha approfondito il tema «Eucaristia: comunione e adorazione».
Dopo il canto dei Vespri, presieduti dal vescovo Andrea, il predicatore cappuccino ha svolto per il numeroso uditorio una meditazione che ha a toccato le corde più profonde dell’anima cristiana. Partendo con un riferimento al tempo dell’Avvento che stiamo vivendo, padre Cantalamessa ha evidenziato l’analogia tra la Vergine Maria, che ci è mostrata con lo sguardo contemplativo, rivolto dentro di sé, a Gesù che porta nel grembo, e l’adorazione del cristiano dopo aver ricevuto l’Eucarestia. L’atto di adorare, certo, non sostituisce la celebrazione eucaristica, ma è la risposta ad essa, è la presa di coscienza del dono ricevuto. In questo modo noi assimiliamo l’Eucarestia, come con la meditazione facciamo nostra la Parola di Dio dopo averla accolta.
Il frate cappuccino è passato quindi a illustrare il primo dei termini messi a tema, «comunione», per mezzo di una serie di analogie: oltre al rapporto tra madre e figlio, ha ricordato l’analogia che esiste tra la vite e il tralcio, che condividono la stessa linfa. Un’altra ovvia analogia della comunione eucaristica è quella con l’assimilazione del cibo e della bevanda. Tuttavia, se nell’alimentazione il principio naturale più forte assimila il più debole, nella comunione eucaristica avviene il contrario: qui è il Cibo che assimila chi lo mangia. Infine, l’analogia che ci introduce più in profondità nel mistero dell’Eucarestia, ha sottolineato padre Cantalamessa, è la comunione che unisce lo sposo e la sposa. Immagine, anche questa, schiettamente biblica: Gesù stesso si presenta come lo Sposo e possiamo dire che la comunione eucaristica è la consumazione di questo matrimonio. Come nell’unione tra l’uomo e la donna ciò che si realizza è la reciproca appartenenza, il corpo della Chiesa e ciascuno di noi, nella comunione eucaristica, diventa di Cristo.
L’apparente astrattezza di questa formulazione può essere superata attraverso una serie di considerazioni molto concrete: Gesù nella sua vita non ha fatto tutte le esperienze umane possibili. Anzitutto è stato uomo e quindi non ha vissuto la condizione femminile; è morto giovane e non ha fatto l’esperienza della vecchiaia; non era sposato; non ha vissuto la malattia… Ma ora tutte queste esperienze diventano sue, le fa Lui. Nella comunione Gesù assume e fa sua la nostra personale situazione, l’esperienza che stiamo vivendo. Le parole di padre Cantalamessa sono diventate dure, riecheggiando l’ammonimento di San Paolo alla comunità di Corinto dove erano accaduti degli scandali: «Se andate con una prostituta, voi costringete il corpo di Cristo a prostituirsi, perché voi siete il corpo di Cristo!». Se prendessimo pienamente coscienza di questa identificazione, ci sarebbe da tremare. L’Eucarestia, infatti, non è un culto che si esaurisce in chiesa, in quell’ora di celebrazione, ma è coestensivo alla vita. «Ma la cosa più bella è l’altro aspetto», ha sottolineato padre Cantalamessa: «il corpo dello Sposo diventa della sposa. Questo vuol dire che la santità di Gesù diventa mia».
Quello che l’anziano religioso ha chiamato «il colpo di audacia», che tutti i cristiani dovrebbero fare prima di morire, consiste nell’appropriarsi della santità di Gesù. Questo l’aveva capito San Paolo, che considerava ogni proprio merito come spazzatura in confronto alla sublimità della conoscenza di Cristo. E parlava della giustificazione mediante la fede. Mentre tutte le religioni dicono agli uomini quello che devono fare per salvarsi, il cristianesimo, al contrario, comincia da quello che Dio ha fatto per salvare noi: è la religione della grazia. Scoprire questo è il colpo d’ala, il “colpo d’audacia” che dobbiamo compiere ed è nella comunione eucaristica che si fa esperienza viva, reale, di questo: si arriva sporchi, laceri, peccatori e si va via col manto nuovo della giustizia, giustificati come il pubblicano al tempio. Il padre cappuccino non è passato a illustrare il secondo versante del tema, quello dell’adorazione, senza prima aver ricordato che la comunione è anche con i fratelli, mediante essa, infatti, diventiamo tra noi un solo corpo.
Riprendendo S. Agostino, padre Cantalamessa ha usato l’immagine di un fedele che va a fare la comunione pieno di devozione ma cova risentimento verso il suo fratello. È simile – ha detto – a un uomo che corre incontro a un amico che non vede da tempo e lo abbraccia, lo bacia, ma nel far questo gli pesta i piedi con scarpe chiodate. «I fratelli sono i piedi di Gesù», ha aggiunto. Proseguendo la sua meditazione, il relatore ha notato come, dopo il Concilio, la pratica dell’adorazione sia andata in crisi, per tante ragioni. Ha ricordato quindi la lettera di san Giovanni Paolo II, «Dominicae Coenae» del 1980, che scriveva: «L’adorazione di Cristo in questo sacramento d’amore deve trovare la sua espressione in diverse forme di devozione eucaristica: preghiere personali davanti al Santissimo, ore di adorazione, esposizioni brevi, prolungate, annuali (quarantore), benedizioni eucaristiche, processioni eucaristiche, congressi eucaristici. L’animazione e l’approfondimento del culto eucaristico sono prova di quell’autentico rinnovamento che il Concilio si è posto come fine, e ne sono il punto centrale». E questa riscoperta del culto eucaristico, come ha potuto constatare lo stesso padre Cantalamessa, che viaggia spesso per il ministero della predicazione, si è realizzata e sta portando frutti in molte parti del mondo. «Nell’adorazione si percepiscono i desideri di Cristo, – ha proseguito – si depongono i nostri progetti, si assimila l’insegnamento di Gesù». Come le foglie degli alberi nella fotosintesi o come i corpi fosforescenti, riflettiamo sugli altri, senza saperlo, la luce a cui siamo stati esposti. La poesia più ermetica di Ungaretti, «M’illumino d’immenso», può illustrare bene l’esperienza degli adoratori del Santissimo Sacramento. Adorare infatti non è un guardarsi dentro ma è guardare Lui che ci guarda, lasciarsi avvolgere dalla sua luce. Questa è l’attività escatologica per eccellenza, che durerà per sempre, anche nella Gerusalemme celeste. Padre Cantalamessa ha concluso la meditazione leggendo una sua traduzione in italiano dell’inno eucaristico «Adoro te devote», attribuito a San Tommaso d’Aquino: parole bellissime che hanno alimentato la fede di generazioni di adoratori.
Il clero della diocesi ha potuto godere di una seconda meditazione del predicatore cappuccino il mattino seguente, in cattedrale, per il consueto ritiro spirituale. In tale occasione, lo spunto è stato offerto da un altro canto della tradizione gregoriana, il “Veni Creator”, a partire dal quale padre Cantalamessa ha illustrato la presenza e l’azione dello Spirito Santo nella vita del sacerdote.
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