All’indomani dell’incidente mortale sul lavoro alla centrale elettrica di Bargi, dove, tra gli altri, è deceduto Alessandro D’Andrea, un lavoratore originario del nostro territorio diocesano (Forcoli), la questione della sicurezza sul lavoro pone ancora alla coscienza individuale e comunitaria (anche ecclesiale) seri e non semplici interrogativi. Certo, il primo moto interiore può essere lo sdegno (e ne sono piene le colonne dei media, nonché le forse non sufficienti manifestazioni pubbliche, sindacali, di categoria).
Ma accanto alla denuncia, legittima, doverosa, anche profetica (nell’ottica cristiana), occorre assumere – per sincera solidarietà con coloro che hanno perso la vita sul lavoro o che ancora oggi alle varie latitudini lavorano in contesti indegni, di sfruttamento, di pericolo – una posizione di pentimento, una posizione in ginocchio, e avviare un serio esame di coscienza, poiché questa come altre “questioni sociali” toccano la carne viva dell’esperienza di ciascuno, per cui anche in piccola parte ci possiamo sentire corresponsabili, sia nelle mancanze, come anche nella volontà di agire, prendere posizione, fare scelte, avviare percorsi virtuosi per dare piena dignità al lavoro di tutti e curare e sostenere “dal di dentro” le nostre comunità che vivono la loro “eucaristia feriale” non solo all’altare del Signore, ma anche nei luoghi di lavoro. Un’esortazione quindi ad una rinnovata cura pastorale di quegli ambiti di vita dove la dignità dell’uomo va pienamente a realizzarsi: la famiglia, la scuola, il lavoro, la cultura, il tempo libero, etc.
Tornano alla mente le parole della costituzione conciliare «Gaudium et Spes» (1965): Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a sé stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. Una cura pastorale che ponga le premesse a percorsi di informazione seria, di formazione e anche accompagnamento di ragazzi, giovani e adulti della nostra comunità cristiana. È la stessa cura che in ambito lavorativo riconosce il diritto del lavoratore ad un impiego sostenibile, ad un giusto salario, ad un impegno che valorizzi le competenze e rafforzi i processi collaborativi anche nel mondo dell’impresa; la stessa cura che diventa prevenzione dei rischi (che la fragilità della condizione umana non potrà azzerare del tutto, ancorché si confidi nello sviluppo della scienza e della tecnica), che non comprima tempi e processi produttivi in nome del solo profitto.
Sono solo alcuni abbozzi tematici che possiamo sviluppare come comunità cristiana, dialogando con le varie compagini della società, senza deleghe, senza ritiri dall’impegno sociale e – anche – politico, convinti che quello “stile sinodale” tanto promosso in questo tempo, possa concretamente accompagnare il cammino delle nostre comunità su percorsi di vita, nonostante l’oggi ci consegni degli scenari foschi e poveri di speranze.