Don Mathew e la nuova missione a Fucecchio

«Lascio con gratitudine, arrivo con gioia»

di Francesco Fisoni

Dopo sei anni nelle parrocchie di Perignano, Quattro Strade e Lavaiano, don Mathew Puthenpurakal si prepara alla nuova missione a Fucecchio, dove raccoglierà l’eredità di don Cristiani. Il sacerdote indiano ripercorre i momenti più significativi del suo ministero e condivide le emozioni di questo passaggio.

Don Mathew, la parrocchia per un prete è un po’ come la famiglia. Immagino non sia semplice lasciare una comunità con cui hai condiviso gli ultimi sei anni di vita. Cosa porterai nel cuore di Perignano, Quattro Strade e Lavaiano? C’è un ricordo o un momento particolare che custodisci con affetto speciale?

«Hai ragione, la parrocchia diventa davvero una famiglia. In questi anni ho condiviso con le persone momenti di gioia e di fatica, di nascita e di lutto, di speranza e di fede vissuta insieme. Porterò nel cuore i volti, i sorrisi, la disponibilità e la fiducia di tanti. Se devo pensare a un ricordo particolare, ne affiorano molti: le feste patronali vissute con entusiasmo, le celebrazioni in cui sentivo forte la presenza di una comunità viva, l’amicizia e la fraternità condivisa con i sacerdoti, i momenti di preghiera semplice ma autentica. Conservo nel cuore anche le esperienze estive, come i campi e l’oratorio con i ragazzi e i giovani, e i momenti di gemellaggio con la parrocchia della Svizzera, che sono stati occasioni preziose di incontro e di crescita. Ricordo con particolare emozione la celebrazione del mio 25° anniversario di sacerdozio, fatta nella chiesa di Perignano: un momento di grazia e di riconoscenza che ha racchiuso in sé tanta parte del cammino vissuto insieme». Cosa hai detto e cosa stai dicendo ai tuoi parrocchiani in questi giorni? «In questi giorni sto dicendo ai parrocchiani che mi dispiace sinceramente lasciare questa famiglia che, in questi anni, è diventata parte della mia vita. È sempre difficile separarsi da una comunità con cui si è condiviso tanto, ma ricordo a tutti – e anche a me stesso – che un prete viene ordinato per la diocesi, non per una singola parrocchia. Il ministero ci chiama alla disponibilità e all’apertura: il cambiamento, pur con le sue difficoltà, è una ricchezza sia per il parroco sia per la comunità. Ci permette di rinnovarci, di accogliere volti nuovi e di lasciarci guidare ancora una volta dallo Spirito nel cammino della fede. Anche se lascerò la parrocchia, sono certo che l’amicizia e i legami che abbiamo costruito continueranno a vivere nel tempo. Porterò con me i volti, i sorrisi e le esperienze condivise, e spero che anche voi sentiate che il nostro cammino insieme non si interrompe qui, ma trova nuove forme, sempre guidate dallo Spirito».

Quali frutti pastorali e spirituali lasci in queste parrocchie e quali semi sono stati piantati che continueranno a crescere?

«Quando sono arrivato ho semplicemente cercato di inserirmi nel contesto comunitario, mettendomi prima di tutto in ascolto per conoscere e comprendere la realtà che mi veniva affidata. Non so dire con precisione quali frutti o quali semi resteranno, ma credo che qualcosa del cammino condiviso continuerà a crescere. In queste parrocchie ho visto molte potenzialità e, allo stesso tempo, una grande ricchezza di diversità: di pensieri, di sensibilità, di esperienze di fede. Sono convinto che proprio questa diversità, se vissuta nel dialogo e nella comunione, potrà diventare un dono prezioso per il futuro della comunità».

La parrocchia di Perignano è intitolata, oltre che a Santa Lucia, anche a Madre Teresa di Calcutta. Quanto ha significato per te, sacerdote indiano, questa “presenza” e come ti ha accompagnato nel servizio pastorale?

«La presenza di Madre Teresa nella parrocchia di Perignano ha avuto per me un significato molto profondo. Ho sempre sentito una particolare vicinanza alla sua figura: la sua vita e il suo esempio mi hanno accompagnato nel ministero e mi hanno ricordato il valore della semplicità e del servizio umile. All’ingresso del battistero della chiesa di Perignano c’è un poster con una sua frase che amo molto: “Non possiamo sempre fare cose grandi nella vita, ma possiamo fare piccole cose con grande amore”. Queste parole mi consolano e mi guidano, perché non mi considero un sacerdote che ha fatto grandi cose o che possiede grandi doti; però cerco ogni giorno di vivere il ministero con amore, dedizione e attenzione alle persone. Credo che sia proprio lì che si manifesta la santità quotidiana, quella che Madre Teresa ha saputo incarnare così bene».

C’è una parola o un consiglio che vuoi lasciare al tuo successore, don Francesco Ricciarelli?

«Sono davvero felice della scelta del vescovo per la nostra Unità pastorale. Conosco don Francesco come un sacerdote semplice, sorridente e vicino alla gente. È una persona profondamente preparata anche culturalmente, ma al tempo stesso umile e capace di mettersi in ascolto, qualità preziose per chi serve il Signore e la comunità. Il mio augurio, e insieme il mio consiglio, è proprio questo: di continuare sempre a mettersi in ascolto — di Dio, delle persone e della vita della comunità — perché è da lì che nascono le scelte più vere, più belle e più feconde».

A Fucecchio raccoglierai l’eredità di don Andrea Cristiani, al quale– ricordo – sei stato molto vicino da giovane negli anni del seminario. Che consigli ti ha dato don Andrea e cosa vorresti dire ai tuoi futuri parrocchiani?

«Non avrei mai pensato di diventare successore di don Andrea, che è un grande amico di monsignor Joy Kalathiparambil, arcivescovo di Verapoly, da dove provengo. È proprio grazie alla loro amicizia che sono entrato nella diocesi di San Miniato come seminarista nel 1994. Ricordo con affetto che nel 1997 don Andrea è venuto insieme a un gruppo in India: ha conosciuto la mia famiglia, e quando poi i miei genitori sono venuti in Italia per la mia ordinazione sacerdotale, li ha ospitati a casa sua e li ha accompagnati a visitare tante belle città italiane. Mi ha aiutato moltissimo in quel periodo, e lo porto nel cuore con grande riconoscenza. Lo stimo per le sue doti umane e spirituali, per la sua accoglienza e la sua attenzione verso le persone. Anche se la vita pastorale ci ha portato su strade diverse, il suo esempio rimane per me un faro silenzioso, una guida preziosa nel servizio. Ai parrocchiani di Fucecchio voglio dire che vengo tra voi con tanta gioia, ma anche con un po’ di timore: so che la vostra è una grande parrocchia, ricca di realtà e di cammini pastorali diversi. Mi affido alla preghiera di tutti e alla grazia di Dio, perché insieme possiamo continuare il cammino con fiducia, nella semplicità e nella fraternità, costruendo una comunità viva, accogliente e radicata nel Vangelo».

Fucecchio – lo accennavi – è una realtà più grande rispetto alle parrocchie che lasci. Quali sono le tue aspettative e le tue speranze per questo nuovo inizio? Come ti stai preparando a questa nuova sfida pastorale?

«Sì, Fucecchio è sicuramente una realtà più ampia e complessa rispetto alle comunità di Perignano, Lavaiano e Quattrostrade, ma la vivo come un’occasione di crescita e di servizio. Le mie aspettative non sono tanto legate ai numeri o alle attività, quanto al desiderio di conoscere e camminare insieme alla gente, condividendo la fede e la vita quotidiana. Mi sto preparando innanzitutto con la preghiera, chiedendo al Signore la grazia di entrare con umiltà e fiducia in questa nuova comunità. Porterò con me l’esperienza e l’affetto delle persone che ho incontrato in questi anni, nella speranza di poter costruire anche a Fucecchio relazioni autentiche e un clima di collaborazione fraterna».

Parliamo un po’ della tua cifra spirituale: nel cammino verso il sacerdozio quali sono state le figure di sacerdoti e santi che ti hanno maggiormente influenzato? Cosa alimenta oggi la tua pietà?

«Nel mio cammino verso il sacerdozio sono stato profondamente segnato da sacerdoti che ho incontrato, uomini umili e fedeli, capaci di vivere la loro vocazione con semplicità e autenticità. Ho anche trovato grande ispirazione nei santi che hanno incarnato la vicinanza a Dio e agli uomini: figure come san Francesco d’Assisi, per il suo amore per ogni creatura e per la povertà del cuore, e San Giovanni Bosco, per il suo zelo educativo e la dedizione ai giovani. Oggi la mia pietà nasce soprattutto dalla quotidianità della preghiera e dall’incontro con le persone. Celebrare l’Eucaristia, ascoltare le confessioni, accompagnare chi cerca conforto: tutto questo mi ricorda continuamente che la santità è fatta di gesti semplici e concreti, e che il cuore del sacerdote è chiamato a rimanere vicino a Dio e vicino alle persone».