In questa celebrazione che è così cara a ciascuno di noi sacerdoti e diaconi, siamo chiamati dalla liturgia a tornare all’inizio della nostra vocazione e della nostra missione. Per alcuni tra noi, volgere a quell’inizio, è sottolineato in quest’anno da anniversari significativi: Don Renzo Nencioni e Don Giampiero Taddei sono nel 60° anniversario della loro ordinazione sacerdotale, Mons. Andrea Pio Cristiani compie i 50 anni di sacerdozio, Don Antony Mathew Puthenpurakal e Don Sunil Augustine Thottathussery il 25° anniversario e don Tommaso Botti il decimo. Li vogliamo felicitare per la loro fedeltà operosa e lieta, a auguriamo loro davvero di sperimentare accresciuta la gioia dell’inizio del loro ministero. Ma oggi torniamo tutti a quell’inizio.
Quell’inizio non fu, e non è, nostra iniziativa, è l’iniziativa che Gesù ha preso verso di noi. Si è fatto presente Lui, ci ha scelto, prima nel battesimo e poi attraverso quel cammino segreto, che fino in fondo nemmeno noi possiamo spiegare, in cui ci ha conquistato e ci ha svelato la nostra vocazione, il nostro volto. Volto di preti, di diaconi, di vescovo, volto di Gesù. Anche Lui, anche il Cristo, l’Unto con il crisma dello Spirito Santo è stato chiamato, costituito, consacrato, mandato dal Padre, come dichiara Isaia nel testo che Gesù legge nella sinagoga di Nazareth. Il nostro volto è quello di chiamati e di mandati, ci è data una missione, quella stessa di Gesù. «Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti». Sacerdoti, consacrati ma non per staccarci dal popolo cristiano, ma per servirlo e per servire ogni uomo, «portando il lieto annunzio ai miseri», annunciando e testimoniando l’amore di Cristo, l’amore estremo di questi giorni della morte e della resurrezione. Per essere «testimoni nel mondo della sua opera di salvezza». Testimoni che Lui è «l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!»
Il prefazio di oggi ci aiuta a guardare questo compito non come un annuncio di parole ma come il farci servi dell’incontro tra ogni persona e Cristo: «Servi premurosi del tuo popolo, (che) lo nutrano con la Parola e lo santifichino con i sacramenti; (che) donando la vita per te e per la salvezza dei fratelli, si conformino all’immagine di Cristo, e ti rendano sempre testimonianza di fede e di amore».
Eppure siamo così deboli, a volte quasi ci potremmo scoraggiare di fronte a un mondo che sembra allontanarsi da Cristo. Ma questo momento storico io non vorrei cambiarlo con nessun altro: portiamo una grande eredità, una storia in cui in mezzo a tanti errori (ma questo non meraviglia) il popolo di Dio che cammina nella storia, e che rinasce dai sacramenti che a noi sono affidati (che grazia) ha generato segni straordinari di bellezza e di umanità. Eppure noi, oggi, questa società che porta tanti segni di Cristo, irrigata dal suo sangue e dalla testimonianza di tanti santi della porta accanto, è anche una società in tanti aspetti non cristiana, e come diceva Peguy più di cento anni fa, siamo come i primi, chiamati a essere suo corpo in «un mondo dopo Cristo», ma che appare sempre più «senza Cristo».
Come i primi cristiani, come gli apostoli, anche noi forse confusi come lo furono nei giorni della passione, ma insieme, e non per capacità nostra, ma per la sua presenza di grazia, testimoni della sua speranza per tutti.
Che rinnovare le promesse della nostra ordinazione ci rinnovi nella coscienza di essere strumenti nelle Sue mani e ci sostenga nell’abbandono fiducioso alla Sua opera in noi, per guardare con il Suo stesso struggimento d’amore ogni persona che ci mette davanti, ogni uomo e donna, ragazzo e ragazza, bambino e anziano, che ha bisogno, come noi di Cristo.
Insieme rinnoviamo ora il nostro sì e rinnoviamolo in questo triduo pasquale chiedendo allo Spirito di farci desiderare di essere ciò che già misteriosamente siamo: una cosa sola con Gesù.
+ Giovanni Paccosi
(Letture: Is 61,1-3.6.8-9; Sal 88; Ap 1,5-8: Lc 4,16-2)