Mentre in tutto il mondo si sta vivendo un evento di sofferenza epocale, di lutto a casua del Covid, un grande risultato del potere della scienza ci sta facendo conoscere i segreti del pianeta Marte. Il Rover della Nasa, dopo 7 mesi di navigazione, si è posato nel cratere Jezero, bacino di quello che è stato un antichissimo lago sul pianeta rosso. Questo evento, che in tempi non troppo lontani, era considerato solo un sogno, oggi è una realtà.
Stiamo vivendo così due concretezze in conflitto tra loro: l’una semina morte e dolore, l’altra entusiasmo per il trionfo dei mezzi prodotti dall’uomo per il dominio del cosmo e per trovare eventuali risposte all’esistenza di altre vite. Vi è però un filo conduttore che lega queste due realtà: la ricerca in ogni campo di possibili soluzioni ai mali che ci affliggono. Forse in una zolla del suolo di Marte, forse nell’atmosfera rarefatta, forse ancora nei sedimenti lasciati asciutti dei fiumi, sta la scoperta di principi attivi curativi per alcune malattie. La frase pronunciata da Neil Armstrong appena messo piede sulla Luna («È un piccolo passo per un uomo, un passo da gigante per l’umanità») da profezia si potrà trasformare in una realtà vincente.
Questo evento scientifico di conquista offre anche a noi cattolici, che stiamo vivendo il periodo di Quaresima, una tematica molto profonda su cui meditare. Papa Paolo VI così rifletteva il 20 luglio 1969, il giorno prima dello sbarco dell’uomo sulla luna: «Che cos’è l’universo, donde, come, perché? Faremo bene a meditare sull’uomo, sul suo ingegno prodigioso, sul suo coraggio temerario, sul suo progresso fantastico. Dominato dal cosmo come un punto impercettibile, l’uomo col pensiero lo domina.
E chi è l’uomo? Chi siamo noi, capaci di tanto? Faremo bene a meditare sul progresso. Oggi, lo sviluppo scientifico ed operativo dell’umanità arriva ad un traguardo che sembrava irraggiungibile: il pensiero e la azione dell’uomo dove potranno ancora arrivare? L’ammirazione, l’entusiasmo, la passione per gli strumenti, per i prodotti dell’ingegno e della mano dell’uomo ci affascinano, forse fino alla follia. E qui è il pericolo: da questa possibile idolatria dello strumento noi dovremo guardarci. È vero che lo strumento moltiplica oltre ogni limite l’efficienza dell’uomo; ma questa efficienza è sempre a suo vantaggio? Lo fa più buono? più uomo? O non potrebbe lo strumento imprigionare l’uomo che lo produce e renderlo servo del sistema di vita che lo strumento nella sua produzione e nel suo uso impone al proprio padrone? Tutto ancora dipende dal cuore dell’uomo. Bisogna assolutamente che il cuore dell’uomo diventi tanto più libero, tanto più buono, tanto più religioso, quanto maggiore e pericolosa è la potenza delle macchine, delle armi, degli strumenti che l’uomo mette a propria disposizione».
L’uomo si sta spingendo sempre più lontano (poca cosa nelle smisurate dimensioni cosmiche) dalla sua sede naturale: la Terra. Invia sonde verso altri pianeti, confidando che la scienza potrà presto condurlo a calpestare direttamente i suoli di altri mondi: il più accessibile dopo la Luna sarà probabilmente quello di Marte. Cosa troverà, come si sentirà “lassù”, così lontano e solo, affidato esclusivamente alla tecnica e alla scienza che là lo hanno condotto? Avvertirà ancora in quei luoghi non ospitali e deserti le necessità della sua umanità o dovrà cedere ad una sorta di standardizzazione dei suoi comportamenti, delle sue azioni, dei suoi compiti, dei suoi imperativi morali? In definitiva: perderà la sua spiritualità, convertita in un’arida sequenza di gesti improrogabili, dettati da un ambiente che non lo accetta e non lo riconosce? Che non ammette dubbi ed errori? Perderà, in sostanza, qualsiasi afflato verso un mistero che lo sovrasta e che ancora leggerà nel cielo diverso, negli abissi di spazio, nelle profonde solitudini che gli stanno intorno? Infine: avrà ancora bisogno di una religione? Di un sentimento, di un Dio che lo protegga dal divenire una semplice macchina e ne mantenga e conservi la precedente umanità?
Tutte domande a cui si può rispondere considerando che dovrà portare con sé la “religione” della vita, lo stupore del mistero dell’esistenza, quell’indefinito disagio che anche lo scienziato più pragmatico avverte quando la ragione è insufficiente a spiegare del tutto. La religione e la scienza sono incompatibili quando ne vogliamo accomunare i metodi d’indagine e quando vogliamo erroneamente mischiare le pratiche empiriche, sperimentali, con quelle di un’esigenza profonda del «sentimento di un’anima del mondo».
Così se vorrà mantenere la sua umanità nel prossimo viaggio nel cosmo l’uomo non potrà fare a meno di portare con sé, nelle future conquiste e nei freddi e lunghi viaggi spaziali, insieme alla sua scienza, anche la sua religione; insieme alla sua tecnologia anche un profumato, terrestre, irrinunciabile ramoscello di fiore di campo.