Ricordo di don Wenceslas Karuta

La grandezza di un uomo normale

La Redazione

Quasi 62 anni fa, a Nemba, nel distretto di Burera, una provincia del Nord Rwanda, nel centro d’Africa, nasceva Wenceslas Karuta, in una famiglia di umili orgini e molto numerosa. L’educazione ricevuta, in particolare dalla mamma Josephine, lo ha spinto sin da piccolo ad alimentare i valori umani e cristiani, che gli erano stati trasmessi entrando nel seminario minore, per intraprendere quel lungo percorso che lo avrebbe portato, l’8 settembre del 1990, ad essere consacrato sacerdote per imposizione delle mani di San Giovanni Paolo II.

Nel 1993 un aereo per Roma, con un biglietto di sola andata, ha condotto don Karuta a proseguire la propria formazione alla Pontificia Accademia Alfonsiana, concludendo il percorso di studi, a pieni voti, con un dottorato in teologia morale, elaborando una tesi sulla sacramentalità della famiglia. Il terribile genocidio che ha colpito il Rwanda ha segnato non solo la storia del Paese ma anche quella di Wenceslas, che ha dovuto fare i conti con la sofferenza e la morte dei suoi fratelli e di suo padre. La cara mamma Josephine, rimasta sola e con un figlio sacerdote lontano, ha avuto l’opportunità di abbracciarlo di nuovo, e di farsi conoscere da alcuni parrocchiani a La Rotta, prima di morire nel dicembre del 2018. Il ricongiungimento con l’adorata mamma, seppur temporaneo, è stato un momento di grazia che ha alleggerito una vita costellata dal dolore e che ha alimentato quella fiamma di fede e speranza, che ha infuocato il cuore di don Karuta fino al suo ultimo respiro.

Il suo vissuto ha creato un muro intorno al suo essere, una corazza che lo avrebbe protetto dalle ingiustizie del mondo e dalla paura di essere tradito dalle persone care, proprio com’era successo allora, in quei maledetti cento giorni iniziati ad aprile del ‘94, nella sua amata terra. Con questo stato d’animo, don Karuta ha fatto servizio in alcune parrocchie fino a fare il suo ingresso a La Rotta, dove è rimasto per ventuno anni. Con il passare del tempo, mattone dopo mattone, quelle mura sono state abbattute e, pur lasciando qualche maceria a terra, hanno permesso alla luce di filtrare nell’anima e di mostrarne agli altri la sua bellezza.

Chi è don Karuta? Non sarà facile raccontare chi fosse il parroco della chiesa di San Matteo Apostolo ed Evangelista della frazione del comune di Pontedera. Un uomo silenzioso, che sa ascoltare, di poche parole, ma dette sempre al momento giusto. Un uomo di Dio, capace di essere un’ancora di salvezza nel mare in tempesta di chi naviga nei problemi e nelle incertezze della vita. Una guida, un pastore, un consigliere sincero, che aiuta a prendere la decisione giusta quando nel cuore c’è tanta confusione. Una persona che sa leggerti dentro. Un innamorato della Parola che fa crescere ogni giorno il desiderio di ascoltarla e metterla in pratica. Mai un giudice, lontano da ogni tipo di pregiudizio, che invita a riflettere e a non agire d’impulso, a non fermarsi alle apparenze e a non chiudere gli occhi di fronte alle sofferenze degli altri. Un uomo dal cuore grande, puro e buono che ha fatto tanto bene in un modo del tutto sincero e mai autoreferenziale. Senza clamore, ma con un grande sorriso sul volto. Sempre presente nella vita della diocesi e in tutti gli incontri di informazione e formazione a cui invitava anche la comunità, continuando a ripetere dall’altare che «la chiesa deve essere in uscita», riportando una frase di Papa Francesco. Attento alla pastorale e vicino ai ragazzi del catechismo e alle loro famiglie. La sua più grande passione era l’organo e quando ne sentiva il suono, la sua bellissima voce cantava con ancor più gioia durante la liturgia.

Molte e profonde sono le relazioni che ha costruito nel corso degli anni, alcune molto strette da essere considerate la sua famiglia, ma tutte caratterizzate da rispetto, stima e fiducia. Don Karuta aveva la caratteristica di entrare nella vita degli altri in punta di piedi, passo dopo passo, con delicatezza e senza prepotenza. Allo stesso modo se ne è andato da questo mondo dopo aver lottato contro una terribile malattia, senza far rumore, in silenzio, in poco più di due mesi. Con una dignità enorme ha combattuto il cancro e mai, neppure alla resa dei conti, ha avuto un atteggiamento di sconforto, ma con fede si è affidato al suo amato Signore e si è congedato, lasciando alle persone che amava e che tanto lo amavano, un prezioso testamento spirituale da custodire per sempre nel cuore, preoccupandosi degli altri prima di se stesso, anche in quell’ultimo momento. Wenceslas ripeteva con forza che «in questo mondo si deve lasciare la propria impronta» e lui ce l’ha fatta davvero… è riuscito a lasciarla.