Una delle principali solennità dell’anno liturgico, che la chiesa festeggia il giovedì successivo alla ricorrenza della SS.Trinità, è il Corpus Domini. La festa per secoli è stata celebrata con grande solennità e sfarzo in ogni parte del mondo e in tutte le parrocchie e culminava con la processione del Santissimo per le strade dei paesi e delle città.
A San Miniato la festa era celebrata con particolare folclore e partecipazione forse per il fatto che fin dal 1300, nella chiesa dei Santi Jacopo e Lucia, detta di San Domenico, era stata costruita, per volontà testamentaria di Margherita di Bindo Nardi, una cappella dedicata al Corpus Domini, intorno alla quale sorse l’omonima Compagnia dedita alla gestione della Festa. Addirittura gli Statuti comunali del 1359 avevano dedicato un’apposita rubrica che ne disciplinava lo svolgimento.
Il giorno della festa, di buon mattino, salivano a San Miniato dalle Parrocchie del suburbio, a piedi e col barroccio carico di cappe, di ceri, di lampioni, decine di uomini e ragazzi che sarebbero sfilati in processione sotto lo stendardo della loro Compagnia. La città quel giorno cambiava aspetto: sparivano sotto i teli ricamati e i tesini di organza le facciate scolorite delle case, e le trame dei rossi bloccati risaltavano sui bugnati dei palazzi nobiliari. Non c’era casa che non avesse sull’uscio i vasi dei fiori coltivati da tempo per l’occasione. Mazzi di calle, di fresie, di gerani farfalla, di tulipani, di rose profumatissime e fasci enormi di ginestre e di spigo, decoravano il lastricato della strada, tappezzato dall’infiorata: un manto di fiori di campagna ornato da composizioni religiose.
Verso le nove, quando già erano arrivate sul prato del Duomo tutte le compagnie, la banda, la delegazione comunale ed i religiosi di tutti i conventi maschili e femminili della città, la processione era pronta per partire, il segnale era il Pange linguaintonato dalla Shola Cantorum del Seminario al termine della Messa resa solenne dai canti in gregoriano: «O sacrum convivium in quo Christus sumitur, recolitur memoria passionis ejus…» (O sacro convito, nel quale Cristo diventa nostro cibo, si perpetua il memoriale della sua passione) e «Vincenti dabo manna absconditum et nomen novum» (Al vincitore darò una manna nascosta e un nome nuovo). Apriva la processione lo stendardo del Capitolo della Cattedrale e a seguire, in duplice fila, i festaioli di ogni Compagnia con in testa il proprio labaro. Seguiva poi lo stuolo variegato dei religiosi che precedeva i seminaristi in cotta. Poi venivano i cappellani della Cattedrale in mozzetta paonazza e i maestosi canonici in cappa magna con l’ermellino. Sotto il baldacchino il vescovo portava l’ostensorio, affiancato da quattro carabinieri in alta uniforme. Dietro sfilavano il gonfalone del Comune scortato da due vigili urbani e la banda cittadina.
Al suono delle campane della torre di Matilde e col canto dei religiosi: «Lauda Sion Salvatorem, lauda Ducem et Pastorem» (Sion, loda il Salvatore, la tua guida, il tuo pastore), la processione si avviava verso Santa Caterina per poi percorrere tutta la Città in un tripudio di colori, di canti, di inni, con i labari al vento tra una siepe di fiori.