È noto come il giubileo costituisca un’occasione propizia per riconciliarsi con Dio, grazie ai tanti strumenti che la Chiesa offre ai fedeli per giungere a tale fine, in virtù di quella comunione dei santi esplicitamente rammentata anche nel Simbolo degli Apostoli. Meno noto invece è il fatto che ogni giubileo – e questo in particolare per le ragioni che vedremo tra un momento – si caratterizza per una spiccata rilevanza sul piano sociale.
E proprio di una «lettura sociale» della bolla di indizione dell’anno santo – Spes non confundit di papa Francesco, si è parlato mercoledì scorso, in un incontro organizzato dall’Azione Cattolica diocesana e dall’Ufficio per i problemi sociali e del lavoro della Diocesi, presso la biblioteca del Seminario vescovile di San Miniato, al quale sono intervenuti Alessandro Conti, direttore dell’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro della diocesi di Massa Carrara-Pontremoli e don Maurizio Manganelli, direttore della Caritas della medesima diocesi, coordinati da Silvia Giani, delegata samminiatese alla 50a Settimana sociale dei cattolici a Trieste. Dopo una breve introduzione del vescovo, che ha ricordato come quest’incontro sia perfettamente in sintonia con il modo con cui è vissuto in diocesi l’evento giubilare, i due relatori hanno offerto al folto pubblico presente molti spunti di riflessione sul tema.
In particolare, Conti, partendo da una frase di Vittorio Bachelet – «Questo tempo vale la pena di essere speso» – ha ricordato come la speranza che ci è richiesta, quale atteggiamento caratterizzante questo giubileo, sia esattamente il contrario dell’atteggiamento dominante nella società, dove l’individualismo, la chiusura verso gli altri e l’indifferenza sembrano imperare: il giubileo, allora, può contribuire a creare relazioni di pace, partendo proprio dalle piccole cose. È Don Manganelli, dal canto suo, ha sottolineato come questo giubileo imponga una lettura dei segni dei tempi, in modo da generare atti concreti di speranza: ricordando alcune toccanti vicende di relazioni con i carcerati, ha evidenziato la necessità di un’attenzione verso le persone fragili e i giovani, proprio per alimentare questa speranza. Naturalmente – ha concluso – «il nostro fare ha un senso, se si fonda sul fare di Dio»; ovvero, se si è mossi da un’imprescindibile spiritualità, che ci fa vedere nei bisognosi i nostri fratelli. Chiosando quello che è emerso mercoledì scorso, anche dall’intenso dibattito che è seguito alla relazioni, mi sembra di poter dire che, in effetti, questo anno santo, oltre ad essere un tempo di riconciliazione e rinnovamento spirituale, ponga con decisione l’accento sulla necessità d’una giustizia sociale: basterebbe qui ricordare l’accorato appello del papa alle Nazioni più ricche, affinché procedano sulla strada del condono dei debiti ai Paesi del Sud del Mondo; un condono che non deve essere inteso come gesto di liberalità, ma come riparazione per lo sfruttamento perpetrato per secoli verso quei Paesi mediante il colonialismo e adesso continuato attraverso gli squilibri commerciali e l’uso sproporzionato delle risorse naturali (Spes non confundit, n. 16).
E d’altra parte, anche di fronte al triste fenomeno della denatalità, che affligge le società industrializzate, la bolla non ha mancato di sostenere la necessità di «un’alleanza sociale per la speranza», per una concreta inversione di tendenza, i cui salutari effetti per il progresso dei popoli si possono ben intuire (n. 9). Ecco allora che la misericordia e la solidarietà, richieste da sempre in ogni giubileo, oggi debbono tradursi in un reale cambiamento di mentalità e atteggiamenti, per la costruzione d’un cammino di speranza che conduca ad un mondo davvero migliore.