Riflessioni

La Chiesa viva in «tempi di magra»: quando la speranza riaccende il cuore

di Manuel Costantini

Voi tutti cosa state cercando? Vi porterò per mano attraverso una testimonianza vibrante, vissuta in una diocesi diversa dalla nostra: «Era domenica, ci ritrovammo insieme nel Suo nome e si meditò sulla Parola. Erano circa le 21 di sera.»

Sì, In questo “tempo di magra” dobbiamo scorgere, volgere lo sguardo e vedere verso realtà vicino alla nostra e (semplicemente) crederci. Questo tra l’altro è il movimento fondamentale riportato dalla penna dell’evangelista Giovanni. Uno scritto che non ha soltanto la priorità di raccontare, ma soprattutto quella di spiegare.

Questo sarà il fulcro dell’articolo. Di questi tempi gli «atti dei discepoli» sono quelli della testimonianza missionaria; proprio lì dove la parola muore vi è l’atto di trasmettere la felicità in quello che facciamo e di vivere la grazia di quello che si è fin dalla nostra nascita: figli amati.

Per amore della verità dobbiamo ammettere che tutti, ripeto tutti, abbiamo dei legami a cui ricondurre le nostre fatiche, memorie e sogni. Ma dentro questi legami si può davvero vivere nella libertà e nell’accettazione della nostra condizione?

Certamente sì, non è solo una vaga convinzione, questa è cosa sicura se aderiamo al vero, a partire dai cari più vicini a noi. Abbiamo la missione di illuminare la realtà in cui camminiamo come pellegrini di Speranza e creare comunione.

Chi non osa sperare, cade vertiginosamente nel suo contrario: la disperazione.

Sia a causa dell’indifferenza, sia a causa di una ostinazione fervente e contraria al messaggio evangelico.

Chi smette di credere in Dio corre il V rischio di iniziare a credere a qualunque cosa. E guai a chi crede di farsi un nome da solo.

Nemmeno quest’ultima realtà ci diamo da soli; il proprio nome non lo scegliamo come neanche la propria condizione natale.

Quindi ripeto ancora che in questi «tempi di magra» dobbiamo imparare a lanciare la rete dal lato debole della nostra barca, fidandoci di Gesù, detto il Nazareno, il carpentiere, figlio del falegname Giuseppe, figlio di Maria, il bambino, l’Uomo, il Profeta, il nuovo Elia, figlio di David, il Maestro, il Messia, il Cristo.

In definitiva la condizione favorevole al dialogo, a partire dall’incontro vissuto nella piana pisana, è questa: nè credere e nè sfoggiare la verità che pensiamo di avere in tasca.

Tanto tanto la Verità l’abbiamo sempre davanti a noi. Sia che riposi negli occhi di qualcuno, del proprio amato o di un amico, sia che si posi sul creato, per esempio durante un bel tramonto o un cielo stellato (e lungi da noi un astruso credo panteista).

Nella ricchezza che stiamo attraversando insieme, mano nella mano, non c’è solo bisogno di sapere dell’esistenza di una multiculturalità, di una multiparrocchialità, di una multidiocesanità, ma è volere attivamente una interculturalità, una interparrocchialità, una interdiocesanità.

Quella domenica sera infatti sono stato in compagnia di cinque giovani laici, nella fascia d’età idealmente più fremente: venti/trenta anni. (Tra l’altro la parola laico è sorprendente, si può traduttore come «colui che si interroga», espressione molto suggestiva e significativa). Ed è un invito a un laicato sempre più maturo e consapevole, quindi con più potere, quindi con più responsabilità.

In ascolto insieme a noi ha presenziato un caro parroco e a dirigerci nella lettura e nella preghiera, tra le righe dell’«altro Vangelo», abbiamo seguito una carissima suora apostolina. (Vorrei sottolineare la bellezza di essere guidati da una pia donna, perché non c’è cosa più materna che di sentire questo abbraccio ecclesiale di stampo femminile, ricco di cura, tenerezza e potenza).

Ora, concludendo, abbiamo due consacrati più sei laici per un totale di otto persone… E dai! è un bel numero di innamorati per incominciare la Settimana santa! In pratica abbiamo a vissuto una buona notizia, un caro messaggio, una testimonianza di Speranza in quelle due ore insieme, scanditi da momenti di convivialità e condivisione. Il mio augurio più grande a tutti voi lettori (e più) è quello di incontrare persone che ti facciano vivere questa gioia, ovvero la felicità di Gesù Risorto nelle loro vite. Vi auguro di abitare fra persone che vi facciamo sentire che Lui è risorto davvero! Un posto dove poter dire: «ma qui pare davvero di percepire Cristo risorto, di sentir parlare di Lui come se fosse ancora qui fra noi!».

Scusate le ripetizioni, ma quanto più lo dico quanto più mi batte, mi arde, mi vive in pieno il cuore in petto. In effetti, a pensarci bene, il linguaggio dell’amore torna sempre sulla parola «ancora». «Ancora» a ciò che vale la pena sopportare, «ancora» a ciò che vale la gioia vivere! Siate come gli asini, così da farvi cavalcare da Gesù. Siate asini! E sarete più belli di qualsiasi altro potente cavallo! Siate asini, miei cari!