Si entra nell’Avvento: è il tempo liturgico che precede e prepara al Natale. Ogni domenica ha la sua tematica di riflessione e tutte quattro le domeniche ci invitano a meditare, ad interrogarci, come persone che hanno un cuore, un’anima, una ragione. L’Avvento è il tempo dell’attesa per questo, della conversione se ce ne è bisogno, per vivere nella Speranza gioiosa: «venne come testimone per dare testimonianza alla luce» (Gv 1,7).
È gravoso, oggi, riflettere sulle problematiche del nostro vivere, sul nostro nevrotico correre, sulla nostra relazione con gli altri. La società intera si trova su un binario di vita dove «distruttività, frustrazione ed insicurezza sono le caratteristiche del nostro tempo. Siamo la società della paura e domina la cultura del nemico. Viviamo in una società dove la sensazione prevalente è quella di trovarsi in un ambiente in cui ci si sente esclusi, ci si sente insicuri, si ha paura. Si accumula così la frustrazione che poi diventa rabbia. E la rabbia sa a cosa porta? Porta alla voglia di spaccare tutto. Il nostro tempo non è violento, è distruttivo». Vittorino Andreoli, noto professore e psichiatra, riflette così sulla contemporaneità e sull’uomo, nel suo ultimo libro «Il silenzio delle pietre». Parla di violenza e di distruttività, due azioni minacciose, gravi, pesanti che fanno del danno agli altri, ma anche a noi stessi. Parla di frustrazioni e di insicurezza, sostenendo che siamo la società della paura. Questo uccide la speranza e la fiducia. Oggi, sostiene Andreoli, viviamo nel periodo della stupidità, perché governa l’irrazionalità, domina l’assurdo. Non c’è il senso dell’etica. «In questo momento storico in cui domina l’assurdo, noi siamo l’homo stupidus stupidus». La stupidità si concentra nel potere: «Io uso il potere come verbo: posso, quindi faccio. E faccio perché posso. Il potere è l’aspetto più chiaro della stupidità». Nel nostro momento domina l’io e non il noi. Io voglio questo. Lo voglio!
Un esempio purtroppo egemone di questo potere è l’andamento del sistema politico in generale. Oggi, non si può più parlare di politica senza essere pesantemente offesi appena si osi contraddire o solo contrastare le idee altrui. È un imbarbarimento che ha degradato la sana contrapposizione democratica (anche robusta e dura di una volta…) ad una questione personale e personalistica. Dove chi sostiene un partito, una fazione, un movimento si sente in diritto, qualora contraddetto, di sentirsi offeso. Questa non è più politica, è lite da mercato. I problemi e le sfide che abbiamo di fronte sono enormi. Sono montagne messe sul sentiero dell’Europa. Prima fra tutte la questione dell’immigrazione, che nessuno sa come risolvere in tempi ragionevolmente brevi. È un problema enorme, specialmente per noi che abbiamo le coste di fronte alla porta di ingresso, sentito (anche giustamente) come uno sconvolgimento del nostro modo di vivere, dei nostri usi e costumi. Gli errori – tanti – sono stati fatti molto prima, ed ora i nodi vengono al pettine. Non resta, quindi che affrontarli con saggezza, fermezza, umiltà e competenza, tenendo presente che ci possano anche esser cose non risolvibili a breve e troppo facilmente. Ci sarebbe bisogno di unità tra le varie forze politiche, almeno su questi fondamentali problemi, e ci sarebbe bisogno, nelle diverse prospettive, di un dialogo serio, di una analisi concreta e approfondita, per cercare di trovare una qualche soluzione.
Questa concordia manca. Impera solo l’insulto, la contrapposizione nuda e cruda, la difesa stolta e interessata dei propri privilegi. Abbiamo la Democrazia, ma non sappiamo (o non vogliamo…) usarla al meglio. Tutto diviene motivo di scontro, di odio di parte, di agitazione, di giuramenti, di contratti e impegni basati sul nulla. Una piaga pesante e preoccupante, inoltre, del nostro vivere, viene dal non rispetto della donna sulla sua dignità. Troppa violenza si registra sulla donna: violenza fisica, psicologica e sociale. Uomo e donna devono avere gli stessi diritti pur essendo diversi, in quanto complementari l’uno all’altro. Una diversità che crea la bellezza dell’amore, «una diversità che trova la sua armonia nella complementarietà», ci suggerisce Andreoli. L’Avvento ci dà, nel suo insieme meditativo, la possibilità di trovare quella Speranza perduta attraverso il silenzio per cercare di riportare equilibrio al nostro vivere. L’uomo è l’unico tra i viventi ad avere «la peculiarità di guardarsi dentro», allontanandosi dai danni dell’eccessiva mondanità, dell’ipocrisia delle relazioni, dell’iper-connessione virtuale.
Ecco allora l’assoluta necessità di ritrovare una «dimensione contemplativa della vita» per dare spazio «a quel monaco che si nasconde nel profondo di ciascuno di noi, al suo bisogno di solitudine e di mistero, perché una vita pienamente umana non può fare a meno dell’invisibile». «Osservando il mondo, così rumoroso, inquieto e così folle, mi viene voglia di silenzio e di guardare ai monaci, che sono scappati dal mondo per capire il mondo» (V. Andreoli)