Assemblea Sinodale a Roma

In assemblea «uno vale uno»: le sorprese della sinodalità

di Tommaso Giani

Il racconto del diacono Tommaso Giani, membro della delegazione diocesana alla seconda assemblea sinodale svoltasi a Roma dal 31 marzo al 3 aprile.

In un’aula da convegni trenta persone si siedono formando un grande semicerchio. Nel centro del semicerchio un moderatore riepiloga le affermazioni e le riforme da approvare o da respingere, e dopo ogni chiamata i componenti del semicerchio votano per alzata di mano. La scena appena descritta arriva dall’assemblea sinodale della Chiesa italiana di pochi giorni fa. I semicerchi che votavano per alzata di mano le proposte di riforma per il futuro della nostra Chiesa erano più di trenta. In uno di questi semicerchi ero seduto anche io, come delegato della diocesi di San Miniato. E dentro ogni semicerchio c’erano persone molto diverse fra loro, espressione della varietà del nostro essere chiesa e del nostro essere italiani: tanti laici (diversi dei quali giovani e donne), pochissimi diaconi come me, tanti preti, tante religiose e religiosi insieme alla stragrande maggioranza dei vescovi italiani suddivisi anche loro nelle varie “commissioni parlamentari” dell’assemblea sinodale.

È avvenuta una cosa che forse non aveva precedenti nella storia della Chiesa di casa nostra. Immaginatevi una ragazza di poco più di 20 anni accanto a un vescovo della vecchia guardia: tutti e due nello stesso semicerchio, tutti e due che votano (per I’esempio, come mi è stato raccontato) su una mozione a favore della ripresa dell’iter di fattibilità per la re-introduzione del diaconato femminile; il vescovo della vecchia guardia vota contrario, la ragazza di 20 anni accanto a lui vota a favore, e insieme a lei la stragrande maggioranza del semicerchio. Il vescovo si ritrova in minoranza e la mozione viene approvata nonostante il suo parere contrario e preoccupato. Però, a differenza che in certe aule parlamentari, il sinodo non è un votificio: fra una votazione e l’altra, e soprattutto prima delle votazioni, non è mancato il lavoro in gruppi ancora più piccoli (di 5 persone ciascuno) per favorire il confronto, la motivazione delle proposte di ciascuno e la convergenza (quando possibile) su mozioni di compromesso. È stato bello partecipare a questo grande esercizio di sinodalità, ovvero di chiesa che cammina insieme con un passo uguale per tutti. All’interno dei gruppi ci siamo confrontati su tantissime cose importanti e molto diverse fra loro: dal rinnovamento della liturgia a quello della catechesi (tema quest’ultimo sul quale i delegati della nostra diocesi si sono concentrati); dalla posizione della chiesa italiana nella corsa al riarmo alla pastorale per persone divorziate o omosessuali, fino alla corresponsabilità dei laici nella gestione delle parrocchie e alla questione femminile (forse la più sentita e dibattuta di tutte nei lavori dell’assemblea).

Siamo tornati a casa, noi mille partecipanti, senza un documento approvato. Questo perché gli emendamenti al documento di partenza e le integrazioni partorite dai 30 semicerchi sono state così tante e così radicali da suggerire al consiglio permanente della Cei di rallentare il passo, ovvero prendersi tutta l’estate (e non solo una misera mezza giornata come previsto alla vigilia dell’assemblea) per inserire e amalgamare tutti gli emendamenti e tutte le integrazioni in un nuovo documento che non sarà più parente stretto del documento di partenza rivelatosi (a detta della stessa “direzione” del sinodo che lo aveva elaborato) carente ed eccessivamente scarno. La votazione finale è rimandata quindi alla fine di ottobre. Tuttavia sarebbe ingeneroso sostenere che l’assemblea riunitasi nei giorni scorsi nell’aula Paolo VI in Vaticano sia stata un nulla di fatto. Di fatti importanti ce ne sono stati tanti.

La novità più importante, che spero non rimanga un “fuori programma” del sinodo ma che al contrario compenetri sempre di più il modo di confrontarsi e di prendere decisioni delle singole parrocchie, diocesi e gruppi ecclesiali, è lo stile che ha caratterizzato in questi 4 anni di sinodo la ricerca di cammini profetici su cui indirizzare la nostra Chiesa italiana per renderla sempre più a misura di Gesù e aderente al Vangelo nella contemporaneità. E’ uno stile dove i vescovi hanno ancora l’ultima parola nelle decisioni (anche il documento sinodale dovrà essere promulgato, come ultimo passaggio, dall’assemblea della Cei): uno stile dove però questa decisione conclusiva dei vescovi è solo l’ultimo passaggio di sintesi di un percorso nel quale i vescovi camminano insieme ai preti, ai religiosi e ai laici, scendendo dalla poltrona e sedendosi sulle seggioline, votando per uno esattamente come la ragazza dell’Acr della sedia accanto, e accettando con umiltà anche il fatto di finire in minoranza. Questo stile di confronto e di dialogo a 360 gradi, rispettoso ma aperto, delicato ma senza tabù, mi sembra un cambiamento non da poco di cui io in questi giorni di assemblea ho avuto la fortuna di essere partecipe, insieme alle decine di persone che ho conosciuto e ai tanti nuovi numeri di telefono che ho portato a casa in quattro giorni intensissimi di discussioni, votazioni, preghiere, cene, testimonianze, trasferimenti in pullman e camminate sulle strade di Roma. Avanti così, dunque, almeno dal mio punto di vista. Evviva la chiesa italiana sinodale.