Hildegard von Bingen (1098 – 17 settembre 1179), conosciuta come Santa Ildegarda di Bingen, fu una monaca benedettina e mistica tedesca del XII secolo. Nacque, ultima di dieci fratelli, a Bermersheim, vicino ad Alzey, nell’Assia Renana, nell’estate del 1098. Fin dal 1101, in tenerissima età iniziano le visioni che avrebbero contrassegnato la sua vita. A otto anni i suoi genitori, proprio per queste visioni, decidono di metterla nel romitorio femminile di Disibodenberg sotto la guida di Giuditta di Spanheim, che le insegnò a leggere, ma le impartì anche una formazione musicale, cosa piuttosto singolare, ma che certo giocò una notevole influenza su Ildegarda, che in seguito divenne essa stessa compositrice di melodie per testi liturgici e di argomento religioso. Prende i voti dal 1112 e il 1115 dalle mani del vescovo Ottone di Bamberga.
La profetessa teutonica
Tutta la sua vita si distingue per la grande capacità di riunire fede e ragione, facendo convergere le vette dell’esperienza religiosa allo sguardo sul mondo che la circonda. Per lei nella Creazione tutto è equilibrato e armonico secondo l’ordine pensato e voluto da Dio, non cessò mai di guardare alle leggi che governano il creato e la natura. La sua opera come pensatrice, poetessa, mistica, teologa è vastissima, scrisse anche di medicina, botanica e cosmologia, compose la prima rappresentazione di musica sacra del medioevo: l’Ordo Virtutum. Fu indubbiamente anche profetessa, guaritrice, erborista, artista e consigliera politica. Alla morte di Giuditta di Spanheim le succedette e nel 1136, anno in cui iniziò anche a scrivere delle sue visioni, fu eletta quale badessa, pochi anni dopo, per il crescente numero delle novizie, si trasferì nella comunità femminile del Monastero di Rupertsberg fondato da lei stessa nel 1150 a Bingen am Rhein. A Ildegarda, badessa e fondatrice di monasteri, si rivolsero, per avere un consiglio e una guida non solo semplici religiosi e laici, ma anche papi (Anastasio IV e Alessandro III) e imperatori (Corrado III e Federico Barbarossa), che si rivolgevano alla prophetissa teutonica – così venne chiamata Ildegarda – per ricevere illuminazione e consiglio. Fu la fama delle sua visioni a confermarla sempre più nel ruolo di consigliera e direttrice spirituale, cui spesso si rivolsero abati e vescovi per ricevere lumi sulla propria condotta spirituale e sulle responsabilità legate ai loro incarichi. Le risposte fornite da Ildegarda, benché sempre riferite all’autorità della Luce vivente, mostrano un’acuta capacità di discernimento e una sicurezza, che mostrano la sua intima unione con il volere divino.
Le sue opere
Quando ormai era ritenuta un’autorità all’interno della Chiesa, Papa Eugenio III – nel 1147 – lesse alcuni dei suoi scritti durante il sinodo di Treviri. Per l’epoca in cui è vissuta, Ildegarda di Bingen è stata una monaca controcorrente e anticonformista. Ha lasciato alcuni libri profetici – loScivias (Conosci le vie), il Liber Vitae Meritorum (il Libro dei meriti della vita) e il Liber Divinorum Operum (ilLibro delle opere divine) – e una serie di lavori musicali, raccolti sotto il nome diSymphonia harmoniae celestium revelationum. Un notevole contributo diede pure alle scienze naturali, scrivendo due libri che raccoglievano tutto il sapere medico e botanico del suo tempo e che vanno sotto il titolo di Physica (Storia naturale o Libro delle medicine semplici) e Causae et curae (Libro delle cause e dei rimedi o Libro delle medicine composte). Nelle sue opere mostra con evidenza e chiarezza i rapporti tra teologia, antropologia e cosmologia, tra elementi naturali e scienze mediche e il legame d’amore che unisce l’uomo a Dio. Riuscì a tenere unite le cose divine e la dimensione realista, spiegando che tutto è interconnesso e che ogni creatura, per vivere, ha continuamente bisogno di essere in relazione con la creazione.
La dottrina sulle visioni
Ildegarda dà una compiuta descrizione, della sua esperienza visionaria, in una lettera indirizzata al monaco Guiberto di Gembloux datata 1175: da essa si ricavano alcune informazioni essenziali sulla natura delle sue visioni: a) Le visioni si verificano disgiuntamente dai sensi corporei, in stato però di veglia e di assoluta coscienza, ad occhi aperti, di notte e di giorno, in uno stato, perciò, differente da quello di estasi comunemente associato ai mistici. Così, infatti, spiega a Guiberto di Gembloux: «Queste cose non le ascolto con le orecchie del corpo, né sono frutto di mie elucubrazioni, né le percepisco attraverso i cinque sensi, ma avvengono nella mia anima, mentre gli occhi corporei sono ben aperti, così che non cado mai nello stato di svenimento proprio dell’estasi, ma le vedo di notte e di giorno rimanendo pienamente cosciente». b) L’esperienza visionaria è contemporaneamente visiva e uditiva e di essa Ildegarda riesce a serbare a lungo il ricordo, perché gli insegnamenti che vi riceve è come se le si imprimessero nell’animo. «Tutto ciò che imparo e vedo in visione, rimane per lungo tempo nella mia memoria, così che ricordo ciò che ho visto e udito una volta. Contemporaneamente vedo, ascolto e comprendo, e quasi simultaneamente imparo ciò che comprendo». c) L’anima di Ildegarda è costantemente abitata dall’ «ombra della luce vivente», con cui la visione si identifica, e in cui è immanente «la luce vivente». «Le parole che vedo e sento in questa visione, non sono come le parole pronunciate per bocca di uomo, ma come una fiamma ardente e una nube che si muove nell’aria pura. In alcun modo riesco a scorgere la forma di questo lume, così come non sono in grado di discernere perfettamente il disco solare. E nello stesso lume vedo talvolta, non di frequente, un’altra luce, che mi è stato detto chiamarsi luce vivente…. (…) La mia anima non è mai abbandonata da quel lume, che viene chiamato ombra della luce vivente». Nel 1147-48 il sinodo di Magonza riconobbe che nelle sue visioni c’era «la mano di Dio» e, da quel momento, il nome di Ildegarda divenne sempre più famoso nella cristianità. Tra la fine del 1159 e il 1170, compì quattro viaggi pastorali predicando nelle cattedrali di Colonia, Treviri, Liegi, Magonza, Metz e Werden.
Elevata alla gloria degli altari
Ildegarda di Bingen morì il 17 settembre del 1179 nel monastero di Rupertsberg dove fu seppellita, in seguito alla distruzione del Monastero nel 1632, durante la guerra dei trent’anni, le sue reliquie furono portate nella cappella del priorato di Eibingen , dove tutt’ora si trovano. Papa Giovanni Paolo II in una lettera per l’ottocentesimo anniversario della sua morte, salutò in Ildegarda la «profetessa della Germania», la donna «che non esitò a uscire dal convento per incontrare, intrepida interlocutrice, vescovi, autorità civili, e lo stesso imperatore Federico Barbarossa», «Luce del suo popolo e del suo tempo». Il 7 ottobre 2012 è stata proclamata Dottore della Chiesa da papa Benedetto XVI.