Dall’11 al 23 agosto scorsi il nostro vescovo Andrea ha effettuato un viaggio missionario in Tanzania, nell’Africa centro orientale, accompagnato da don Armando Zappolini. Una terra dalle iridescenze esotiche, con parchi smisurati come quello del Kilimangiaro (la cima più alta del continente) o isole tropicali come Zanzibar e laghi grandi quanto una piccola nazione come il Lago Vittoria. Il viaggio è stato reso possibile grazie a un invito arrivato a monsignor Migliavacca e a don Zappolini da don Pascal Mutegaya, della diocesi di Bukoba. Don Pascal, dopo gli studi a Roma, ha infatti svolto per alcuni anni il suo servizio sacerdotale nella nostra diocesi, in particolare proprio a Perignano quando era parroco don Zappolini, diventando poi anche amministratore parrocchiale di Lari, prima di essere richiamato nella sua diocesi di origine. Il suo legame con la nostra Chiesa è quindi rimasto forte e vivo. Il viaggio doveva in realtà essere effettuato nel 2020, ma a causa della pandemia è stato rimandato più volte fino a questa estate. Accompagnavano il vescovo e don Armando anche alcuni giovani, fatto che ha trasformato questa esperienza quasi in una proposta non scritta delle “4 del pomeriggio”, il progetto che oramai dal 2019 la nostra Caritas diocesana offre ai giovani per fare esperienze forti a contatto con realtà formative di rilievo. Abbiamo rivolto alcune domande al vescovo Andrea per farci raccontare nel dettaglio questa esperienza durata 12 giorni.
Eccellenza, quali realtà avete visitato?
«Il viaggio ci ha portati innanzitutto a Dar Es Salaam (la più grande città della Tanzania con i suoi oltre 4 milioni di abitanti – ndr), e da lì abbiamo fatto una prima tappa turistico-naturalistica a Zanzibar e poi un lungo viaggio, anche abbastanza faticoso, con pullman e con jeep, fino ad Arusha nel nord, proprio sotto il Kilimangiaro. Dopodiché abbiamo attraversato i grandi parchi di Ngorongoro e del Serengeti, nei quali – anche lì – abbiamo potuto apprezzare le bellezze della natura. Parchi così significativi per i loro animali (abitati dai cosiddetti “Big Five”, ossia: elefante, leone, leopardo, bufalo e rinoceronte – ndr) e dove è anche la culla dell’umanità, dato che proprio nel Serengeti sono stati trovati i resti umani più antichi che si conoscano. Dopo un attraversamento notturno su traghetto del Lago Vittoria, e dopo essere stati anche a Mwanza, città che si trova ai margini dei parchi, abbiamo infine raggiunto la diocesi di Bukoba. È qui che abbiamo potuto visitare maggiormente le realtà ecclesiali, in particolare le parrocchie di alcune cittadine e villaggi: abbiamo conosciuto un importante progetto per il rifacimento e la costruzione di una chiesa e su una piccola isola poi – sempre all’interno della diocesi – abbiamo toccato con mano la realtà dei programmi di accompagnamento per i bambini nella scuola e nello studio grazie alle adozioni a distanza, che hanno permesso anche la realizzazione di un centro di accoglienza. Don Pascal ci ha fatto conoscere anche la sua nuova comunità parrocchiale: si tratta di una grande parrocchia della quale è diventato parroco da appena un mese. Abbiamo potuto così essere testimoni in diretta di questo suo iniziale impegno di inserimento e di dialogo con le varie realtà locali e con le persone».
Cosa l’ha colpita di più di questo grande paese centro-africano?
«Certamente la bellezza dei paesaggi. Si sperimenta davvero il rigoglio della natura e si scopre proprio in questo incontro quanto sia importante impegnarsi per custodire il creato, raffinando una certa attenzione ecologica. Sono rimasto poi estremamente colpito dalla – direi – “freschezza di Chiesa”… I villaggi e le comunità che abbiamo visitato ci hanno mostrato un volto di Chiesa che cresce, che ha presenza di giovani e di persone pronte a impegnarsi pastoralmente. Mi è sembrato un aspetto arricchente anche per noi europei».
Com’è stata l’accoglienza della gente?
«Estremamente cordiale. Abbiamo trovato comunità e persone davvero molto ospitali, attente, capaci di accogliere e condividere».
In Africa la fede, sotto la spinta missionaria, raccoglie ancora oggi l’affascinante sfida dell’inculturazione. Cosa ha potuto osservare in proposito con questo suo viaggio?
«Le comunità e i villaggi in Africa, e nello specifico in Tanzania, sono depositarie di antichissime tradizioni che derivano dal loro cammino nella storia. L’avventura dell’inculturazione della fede in situazioni molto diverse da quelle nostre europee, costituisce senz’altro una sfida, un’avventura aperta, direi in fieri, che non è ancora pienamente compiuta».
C’è un aneddoto o una storia legata a questo viaggio che le piace ricordare?
«Sono tanti gli episodi che rammento… penso in particolare alla nostra visita sull’isola dove siamo arrivati con la barca e dove abbiamo trovato una comunità di bambini – quelli aiutati nei loro studi con le adozioni a distanza – con i quali abbiamo vissuto una mattinata intera di gioco in allegria. Si è trattato di un’occasione d’incontro e condivisione con una comunità che si connota per la vita semplice ma dall’allegria contagiosa. Quei bambini e quei ragazzi avevano una gioia e una capacità di comunicare con noi, pur non conoscendo la nostra lingua, che ci ha coinvolto e conquistato. È stato un momento davvero molto bello».