A San Miniato i mesi di luglio e di agosto si caricano ogni anno di ricordi dolorosi, tragici, legati al passaggio del fronte bellico, che segnò la fine e l’inizio di uno mondo e di un modo diverso di vivere.
La nostra diocesi fu investita dalla furia devastatrice della guerra e se possiamo oggi ricostruire quasi dettagliatamente quale fu lo stato dei territori lo dobbiamo al vescovo Ugo Giubbi che il 27 agosto 1944 scrisse una lettera al cardinale Elia Dalla Costa per informarlo che «quasi tutte le chiese e le canoniche sono state bersagliate. Alcune del tutto distrutte ed altre 4 o 5 semirovinate, fra le quali quella che V. Em. inaugurò due anni orsono, a S. Pierino. Di molte, di queste, furono minate i campanili, i quali portarono con sé il crollo della chiesa. Per ora, un solo parroco, morto per una cannonata. Ma non ho affatto notizie di una 30na di parrocchie che si trovano al di là dell’Arno. Qui ci troviamo in una condizione sempre più difficile per lo stillicidio continuo di cannonate che pretendono di colpire militari e postazioni americane e colpiscono civili e case di abitazione. E di là dall’Arno è la stessa cosa (non è difficile indovinarla) per i colpi che partano da qua. E tutto questo: cui bono? Cui bono? Se almeno portasse al miglioramento dei popoli!»
E nella stessa lettera il Vescovo non tralascia di informare il suo Metropolita di quanto era avvenuto nella Città di San Miniato con la distruzione di circa il 60% delle abitazioni da parte dei tedeschi e dell’eccidio dei civili avvenuto nel duomo il 22 luglio. È sempre Giubbi che ci dice che «delle chiese parrocchiali della città, una sola, per ora, è salva, le altre tutte più o meno segnate. Quella di S. Stefano, la più sciupata, si può dire semidistrutta. Il seminario e il palazzo vescovile hanno subito danni gravi. E in seguito alla battaglia varie cannonate caddero in cattedrale ed una ( se fosse una cannonata o un ordigno esplosivo, come si dice, soltanto un esperto in materia, neutrale e coscienzioso, può stabilire) vi produsse la strage di una 80ina di persone: circa 30-35 morte sul colpo o poco dopo, e altre decedute in seguito alle ferite, tutte non lievi e non potute curare per insufficienza di mezzi».
Per le modalità con cui avvenne il raduno delle persone in chiesa e per come si compì l’eccidio, lo stesso vescovo venne accusato di corresponsabilità, da un’opinione artatamente costruita e divulgata. Ben diversa, fu, invece, la responsabilità che Giubbi stesso sentì, di avere «contratto» nell’eccidio. Lui stesso, aprendo il suo animo al Cardinale in un sincero sfogo, gli dice: «Creda, Eminenza, che fu una giornata indescrivibile, che non si potrà dimenticare giammai e che, credo, mi abbia tolto per sempre il sorriso dal cuore e dal volto. Il Signore permise che io fossi, assolutamente ignaro di quanto sarebbe avvenuto, indirettamente strumento di questo eccidio, per aver impartito ordini che mi vennero fatti impartire per la salvezza della popolazione». Conclude la sua angosciosa lettera con queste parole: «Vi chiedo una preghiera per me, per la mia Diocesi, per i miei Preti, perché siano all’altezza della loro missione specialmente in questo momento. E anch’io ho pregato e pregherò per Voi e le Vostre intenzioni».
Nel 76mo anniversario di quell’estate del ‘44, in conseguenza ai molteplici ed inconfutabili accertamenti e riscontri storici circa le dirette responsabilità dell’eccidio, attribuite alla batteria «Able» del 337° battaglione dell’artiglieria campale americano, sarebbe opportuno un riconoscimento pubblico del vescovo Ugo Giubbi per rendere giustizia al suo operato, volto in più occasioni e unicamente alla salvezza della popolazione.