La seconda catechesi attraverso l’arte del vescovo Giovanni

«Il miracolo della bellezza»,

di Francesco Fisoni

Se solo trovassimo il tempo e la pazienza di fermarci, di lasciare che il frastuono che ci abita si dissolva quando entriamo in una chiesa, potremmo aprirci al mistero della bellezza che ci avvolge. Abbiamo spesso citato Ennio Flaiano: «Il turista è un essere distratto che non rimane ferito da ciò che vede». Eppure, il bello sazia: ci permette di vedere di più, di sentirci più vivi. Non serve essere esperti di storia dell’arte, il linguaggio della bellezza è universale e parla a chiunque sappia ascoltarlo. L’unica condizione è guardare in silenzio e lasciare che le domande affiorino. Questa esperienza si è concretizzata nelle due catechesi attraverso l’arte guidate dal vescovo Giovanni: l’8 marzo scorso sull’iconografia della cattedrale e, domenica scorsa, sul santuario del Ss. Crocifisso.

Chiese familiari, visitate innumerevoli volte, ma di cui spesso ignoriamo il valore artistico e simbolico. Eppure chi le ha decorate non lo ha fatto per vezzo ma per istruire nella fede. Ne abbiamo avuto un chiaro riflesso nella spiegazione di monsignor Paccosi sul Ss. Crocifisso. La chiesa era gremita e l’attenzione dei presenti era palpabile: per un’ora intera gli occhi sono rimasti rivolti verso le volte, a seguire con meraviglia le indicazioni del vescovo. Si è così scoperta non solo la bellezza dell’edificio, ma anche l’amore e la dedizione che lo hanno generato.

Il santuario, voluto all’inizio del Settecento da monsignor Giovanni Maria Francesco Poggi come voto al Ss. Crocifisso di Castelvecchio, fu costruito in una posizione impervia ai piedi del colle della Rocca. L’incarico venne affidato all’architetto fiorentino Antonio Maria Ferri, che tra il 1705 e il 1718 risolse con lampi di genio, difficili problematiche prospettiche e di stabilità. Un altro prodigio venne realizzato dal pittore Antonio Domenico Bamberini, autore dell’intero ciclo di affreschi che, partendo da storie del vecchio testamento, mette in scena la storia della salvezza, fino all’ascensione di Gesù raffigurata sulla cupola.

Monsignor Paccosi ha evidenziato l’uso sapiente del colore: dalle monocromie delle scene inferiori si passa progressivamente all’oro e ai colori sgargianti delle volte e della cupola, simbolo dell’ascesa alla luce divina.

Due dettagli hanno colpito i presenti: all’ingresso del santuario, due affreschi raffigurano la Natività e la Circoncisione di Gesù. Le epigrafi sottostanti recitano in latino: «Inizio della crocifissione di Gesù, per le tante pagliuzze (della mangiatoia) che, come croci crudeli, hanno trafitto la sua tenerissima carne» e «Questo prezioso sangue (versato nella circoncisione) sarebbe stato sufficiente per la redenzione umana, ma non per l’amore del Redentore».

Frasi potenti, che a tre secoli di distanza restituiscono la devozione del vescovo Poggi, che – raccontano le cronache – partecipò egli stesso ai lavori di edificazione dell’edificio.

Paccosi ha poi sottolineato un aspetto essenziale: il vero padrone di casa è il Crocifisso di Castelvecchio, custodito nella sua nicchia ed esposto solo in occasione della sua festa a ottobre o in momenti di grande necessità, come guerre o epidemie. A questo proposito il vescovo ha rilevato come, leggendo le cronache dei secoli scorsi, questa importante devozione sembri oggi un po’ affievolita rispetto al passato. Un culto che merita certamente di essere riscoperto e incoraggiato.

Al termine della catechesi, ha trovato spazio il racconto di un episodio recente che ha lasciato tutti senza parole. Durante una sessione fotografica per la digitalizzazione del Crocifisso trecentesco, i tecnici incaricati hanno riscontrato un’anomalia inspiegabile: nonostante migliaia e migliaia di scatti eseguiti per una settimana intera da tutte le angolazioni verso la scultura, il computer non riusciva a ricostruire il suo braccio destro. Dopo ulteriori tentativi, ancora senza successo, i fotografi hanno deciso di fermarsi e rivolgere una preghiera all’immagine. Solo allora, al tentativo successivo, il braccio si è profilato sul monitor del pc nella sua interezza. Un fatto che interroga e fa riflettere, e che ci invita a conoscere meglio questa immagine miracolosa, che nel medioevo era venerata, tra l’altro, per il suo potere taumaturgico soprattutto dagli “attratti”, ossia da coloro che soffrivano di malattie agli arti e alle ossa.