Genesi e sviluppo di una festa popolare

Il Carnevale, «mondo alla rovescia»

Vi è un periodo dell’anno durante il quale si festeggia una ricorrenza amata dai bambini che coinvolge anche gli adulti: il Carnevale. Sono 7 giorni in cui l’allegria e la spensieratezza si esprimono in un gioco di maschere, di scherzi, di iniziative sorridenti di tradizioni folcloristiche. È la settimana che precede la Quaresima, stagione questa di riflessioni e di fioretti come le nonne dicevano a noi bambini piccoli.

Il Carnevale ha una storia molto antica, le cui origini vanno ricercate in epoche molte remote, quando la religione dominante era pagana. La ricorrenza trae forse le proprie origini dai Saturnali della Roma antica o dalle feste dionisiache del periodo classico greco. Un proverbio latino definisce così il Carnevale: «semel in anno licet insanire» (una volta all’anno è lecito impazzire). Durante queste festività era lecito lasciarsi andare, liberarsi da obblighi e impegni, per dedicarsi allo scherzo ed al gioco. Mascherarsi rendeva irriconoscibile il ricco e il povero, e scomparivano così le differenze sociali. Una volta terminate le feste, il rigore e l’ordine tornavano a dettare legge nella società.

L’origine della maschera e del travestimento viene attribuito a una festa in onere alla dea egizia, Iside, usanza importata poi anche nell’impero romano. In altre parti del mondo, soprattutto in Oriente, c’erano molte feste con cerimonie e processioni con sfilate di grossi carri simboleggianti la luna ed il sole che rappresentavano, a livello religioso, la creazione del mondo.

In Italia, dal medioevo ad oggi, questa ricorrenza si è maggiormente arricchita e ai presenta con creazioni di maschere e vestiti particolari, dando vita a dei personaggi con caratteristiche specifiche: Arlecchino, vestito con pezze di vestito variopinte; Brighella, tipo scontroso, bugiardo, e sempre pronto a complottare per il suo tornaconto; Colombina, la maschera femminile più famosa di Venezia che incarna le doti della domestica fedele e molto intelligente; Pantalone, il papà di Colombina, un vecchio mercante squattrinato che si lamenta sempre per la mancanza di denaro; Rugantino, arrogante e strafottente; Meneghino, servitore intelligente che ha più sale in zucca dei suoi padroni. Il Carnevale insomma, rappresenta divertimento nella sua spensieratezza e ironia, con punte però, qualche volta di sarcasmo non sempre tolleranti.

È interessante in questo quadro di sintesi, approfondire la nascita della parola «Carnevale» e per questo riporto un appunto di don Luciano Marrucci, che narra l’incontro di un dibattito divertente ma nello stesso tempo colto ed ironico, svoltosi con don Lelio Mannari, filologo e storico, prete molto conosciuto e amato nella nostra comunità diocesana. Così scrive don Luciano: «Ma come nasce la parola “Carnevale”?

Quando se ne parlava con il Mannari, lui mi diceva che praticamente era un congedo dalla carne, la carne che si smetteva di mangiare durante il periodo di Quaresima, che è vicina a questi giorni di ricorrenze carnevalesche. Anch’io convenivo su questa interpretazione; la discussione nasceva quando si trattava di spiegare l’etimo della parola, cioè la sua forma ricostruita più antica. Lui sosteneva che derivava dalla corruzione di due parole latine: “Carnem laxare”. Io affidandomi al suono della parola composta, dicevo che “Carnevale equivale a: Carne, vale! Come dire: Addio, carne!” Per diverso tempo rimasi sulle mie.

E invece aveva proprio ragione il nostro Mannari!

Ludovico Muratori, sommo storiografo e onesto filologo, scrive: “Significa questo nome (carnem laxare) il carnevale, cioè i giorni che sono più vicini al principio della Quaresima”. Il grande dizionario di Salvatore Battaglia sostiene perentoriamente questa interpretazione facendola derivare dalla parola medioevale “carnelevare”. In qualche modo è proprio un saluto alla carne (quella del macellaio!) che parte da chi è deciso, sia pure a malincuore, ad astenersene nel periodo che segue. Quando riconobbi di essermi sbagliato don Lelio non me lo fece pesare. Quanto al fegatello di cui parla la canzone, diciamo la verità, è il più buon boccone che ci sia. Era di questi tempi di Carnevale che don Mannari m’invitava a Crespina, dove mi aspettava con la teglia con quei fegatelli affogati nel lardo; a volte canticchiava proprio per me quel bel motivo: Carnevale non te ne andare, ché ti ho fatto un bel mantello, ogni punto, un fegatello: ti potresti accontentar”». In questo periodo, si può dire, restando in allegra ironia, che ogni discussione un po’ bonaria ed un po’ scherzosa, seppur particolare, si conclude sempre in gloria, il cui risultato è: sedersi ad una tavola e gustare un buon cibo, ed in quell’occasione era costituito dal fegatello, accompagnato da un ottimo bicchiere di vino rosso, un mix di sangiovese, merlot e cabernet sauvignon, preferibilmente stagionato con barriques.

Anche questo ci vuole! È carnevale! E a Carnevale ogni scherzo vale ma che sia uno scherzo che sa di sale!