In un articolo di dieci anni fa, che ebbe una certa eco polemica sulla stampa locale, criticavo il malcostume di prolungare i festeggiamenti del carnevale ben oltre il mercoledì delle ceneri, per una o addirittura due domeniche di quaresima.
Lungi dal voler essere un «anatema contro la festa dei bambini», quell’articolo intendeva denunciarne lo svuotamento, complice il misconoscimento della quaresima. Il tempo di carnevale e il tempo quaresimale, infatti, sono strettamente collegati: «l’uno sostiene e giustifica l’altro» (cfr. Franco Cardini, Il libro delle feste. Risacralizzazione del tempo).
«Il peggior nemico della festa – scrivevo – è l’appiattimento che non riconosce più la differenza tra tempo del divertimento e tempo della sobrietà, tra giorni di lavoro e giorni di riposo». Ricordavo poi un famoso dipinto del pittore fiammingo Pieter Bruegel, «Lotta tra Carnevale e Quaresima», in cui viene rappresentato, al centro di una piazza brulicante di umanità, il combattimento simbolico tra un personaggio pingue seduto a cavalcioni di una botte, con in mano lo spiedo della carne arrostita, e una vecchia scarna, emaciata, vestita di un saio, che gli si oppone brandendo una pala con due aringhe. Ai tempi di Bruegel l’esito dello scontro era segnato. Dopo gli eccessi della festa, il fantoccio del re Carnevale veniva bruciato in un fuoco purificatore, dando così inizio al tempo della sobrietà e della penitenza. In fin dei conti, la sospensione temporanea delle regole e delle convenzioni sociali, nei giorni in cui ognuno, indossando una maschera, poteva essere altro da sé, era funzionale al successivo ritorno all’ordine.
In una prospettiva cristiana, i giorni del divertimento un po’ matto, degli scherzi e dei travestimenti, rivestivano una funzione catartica, offrendo ai fedeli un tempo di leggerezza in vista del lungo periodo di penitenza e digiuno che li aspettava. Nella società moderna i processi di secolarizzazione hanno portato a un progressivo svuotamento di significato dei tempi forti e delle feste. Il tempo stesso ha smarrito la sua profondità, riducendosi a un rincorrersi di attimi sempre uguali a se stessi, in cui anche i giorni della festa finiscono per essere risucchiati dalle logiche del consumo e dalla frenesia tipiche della ferialità.
Per ridare consistenza al tempo festivo è quindi necessario riscoprirne il limite, anche temporale. Riscoprire che il martedì grasso e il mercoledì delle ceneri si completano a vicenda, che i dolci carnevaleschi e il digiuno a pane e acqua quaresimale sono due realtà complementari della nostra vita. Un’ipotetica etimologia fa derivare il termine carnevale dal latino «carnem levare» (togliere la carne), e quindi già nel nome il periodo carnevalesco allude all’astinenza quaresimale che lo seguirà. Il caos è pertanto funzionale alla successiva purificazione che troverà compimento nel ritorno definitivo all’ordine, allo splendore del cosmos realizzato dalla resurrezione di Cristo, che inaugura la festa senza fine.