Echi dalla Prima Assemblea Sinodale

I tre delegati all’Assemblea sinodale di Roma raccontano

La Redazione

Nei giorni dal 15 al 17 novembre scorsi si è tenuta a Roma la prima assemblea sinodale delle Chiese in Italia a cui hanno partecipato tre rappresentanti della nostra diocesi insieme al vescovo Giovanni. Riportiamo di seguito le impressioni dei nostri delegati sull’evento ecclesiale che ha aperto ufficialmente la fase profetica del cammino sinodale.

VIRGINIA SILVIA SICURANZA: «Nello scorso weekend siamo stati chiamati ad un servizio: vivere tre giorni intensi di lavoro per essere parte del cambiamento della Chiesa. Sono partita con fatica perché la vita quotidiana è troppo spesso frenetica, ma giunta davanti alla bellissima basilica di San Paolo fuori le Mura, nostra dimora per questi tre giorni, la frenesia si è interrotta lasciando spazio allo stupore. Nel tavolo di lavoro, mi sono trovata a collaborare con Massimiliano, Daniele, Andrea, Alessandro, il vescovo Giovanni, Nunzia, Loredana, Marco e una vecchia conoscenza: il “nostro” vescovo Andrea. 10 persone tutte legate da un unico obiettivo: i giovani. Molte volte ci lasciamo anestetizzare dalla vita quotidiana senza guardare fuori, senza guardare oltre ai demagogici “i giovani non ci sono”, “ai giovani non interessa” dimenticando che “il Regno è ben più grande”. Confrontandoci tra noi, ci siamo detti spesso che le relazioni sono fondamentali per creare un senso di appartenenza ma troppo spesso lo scordiamo. L’arcivescovo Palmieri, in un’omelia, ha fatto riferimento ad un’indagine che ha coinvolto un campione composto da 100 ragazzi che vivono il mondo della Chiesa e 100 che invece non lo vivono. La domanda che veniva posta loro poteva sembrare semplice, ma solo all’apparenza: “Come vorresti che fosse la Chiesa?”. Le risposte ottenute sono state variegate ma una più ricca dell’altra. Mi ha colpito: “Vorrei che fosse una cena fra amici dove ognuno può sentirsi se stesso”. Oggi i nostri giovani vivono una vita soggetta al continuo giudizio, che sia sulle scelte fatte o non fatte oppure sulla scelta di credere in qualcosa o qualcuno. Come detto dal cardinal Matteo Zuppi: “La Chiesa è Popolo, donne e uomini che, uniti dalla fede e dal Battesimo, camminano nella storia rendendo ragione della speranza che è in loro (cfr 1Pt 3,15). La Chiesa è famiglia e, se la viviamo come Gesù ci chiede, amandoci l’un l’altro, sapremo aiutare le nostre famiglie, le città degli uomini, il nostro Paese, il mondo, ad essere comunità!”. La mia speranza è che questo sinodo, tramite il mio lavoro, quello dei miei colleghi del tavolo 37 e di tutti gli altri che hanno partecipato all’assemblea, possa essere frutto di amore e speranza. Speranza in una Chiesa che sia comunità pronta ad accogliere ogni giovane come una madre.

DON FRANCESCO RICCIARELLI: «Ho partecipato all’evento come segretario dell’équipe sinodale diocesana. A bordo dell’automobile guidata dal vescovo Giovanni è salita, oltre al sottoscritto, l’altra segretaria diocesana, Virginia Sicuranza. Al ritorno si è aggiunto il diacono Tommaso Giani, che era arrivato a Roma autonomamente in treno. Giunti nella basilica di San Paolo, dove si venerano le spoglie dell’Apostolo, il colpo d’occhio N era impressionante: il palco dei relatori col grande logo sul fondo della navata, i maxischermi sulle colonne di granito, cento tavolini numerati disposti in file ordinate. Ciascun tavolo era munito di 10 computer, altrettante bottigliette d’acqua e un vassoio di tartine e pasticcini di benvenuto. Il coro intanto provava i canti, solenni e moderni al tempo stesso, mentre il personale tecnico e gli stewardsi aggiravano solerti e guardinghi. La mia prima impressione è stata di spaesamento, ma poi è bastato che alzassi gli occhi alla splendida abside col Cristo Redentore, alle figure ieratiche degli apostoli, ai ritratti dei sommi pontefici che sfilano in alto sopra le arcate, per sentirmi a casa. Alcuni pannelli dividevano il settore della basilica adibito a sala convegni da quello dove abbiamo celebrato i momenti liturgici intorno all’altare papale, al ciborio di Arnolfo di Cambio e alla tomba dell’Apostolo. A ciascun tavolo di lavoro era assegnata una scheda, in tutto 17, suddivise in tre ambiti. Al mio tavolo, il 55, è toccata la scheda numero 9 sulla formazione dei formatori. Di ogni gruppo facevano parte in media due vescovi. Il nostro comprendeva inoltre quattro laiche, un laico e tre sacerdoti. Lo scambio si è svolto nello stile ormai collaudato della conversazione spirituale. Ne è scaturita la proposta di accorpare alcuni punti della scheda originaria, di sottolineare l’importanza della preghiera e della Parola di Dio nella formazione dei formatori e anche, su mio suggerimento, di inserire l’aggiornamento sulle espressioni artistiche (letterarie, figurative, performative) che plasmano l’immaginario personale e collettivo. Nella sintesi provvisoria, presentata al termine dei lavori, mi ha colpito il rinnovato invito a non trascurare la pietà popolare, più volte evocata anche nelle precedenti fasi del cammino sinodale. Per il resto mi sembra che siano stati ribaditi alcuni principi fondamentali: la centralità delle relazioni, la sinergia tra gli operatori e gli uffici pastorali, la corresponsabilità. Gli interventi liberi al termine dell’assemblea hanno dato spazio anche a rivendicazioni a mio avviso fuori luogo, che stridevano specialmente perché pronunciate a pochi passi dalla tomba di san Paolo, ma che in fondo hanno contribuito a dare l’immagine di una Chiesa scombussolata dal “cambiamento d’epoca” ma al tempo stesso desiderosa di esaminare ogni cosa e di tenere ciò che è buono».

TOMMASO GIANI: «Immaginate una basilica immensa di Roma (San Paolo Fuori le Mura) dove al posto delle panche erano stati sistemati 100 tavoli. E intorno a ognuno di questi tavoli fiorivano un confronto e una discussione su un ambito diverso della chiesa italiana: un confronto animato da 10 persone per ogni tavolo, per un totale di mille partecipanti. E fra questi mille partecipanti alla prima assemblea sinodale della chiesa italiana c’ero anche io, in rappresentanza della diocesi di San Miniato. Ho avuto subito l’impressione di prendere parte a un evento unico già al momento di rendermi conto della scelta del luogo e dell’organizzazione degli spazi. È stato molto bello e molto significativo utilizzare la basilica sia per la santa messa sia per i tavoli di lavoro. Pregare e confrontarsi, spezzare il pane ed elaborare proposte di riforma per parrocchie e diocesi, ascoltare il Vangelo e scrivere relazioni di gruppo: il tutto non in due luoghi diversi (la chiesa e l’auditorium) ma nello stesso edificio sacro. Questo per sottolineare la sacralità del nostro incontrarci durante i tre giorni (laici e religiosi, giovani e meno giovani, uomini e donne): non solo al momento della preghiera ma anche nelle varie sessioni di conversazione ai 100 tavoli numerati. A me è stato assegnato il tavolo n.52, che ha cercato di proporre innovazioni sul tema della catechesi in vista dei sacramenti per bambini e adolescenti. Ci siamo scambiati le nostre idee e le nostre esperienze a proposito di catechismo e iniziazione cristiana, e le abbiamo sintetizzate in una relazione comune consegnata alla «cabina di regia» del sinodo che la miscelerà insieme a quelle degli altri tavoli tematici per elaborare un documento riassuntivo da presentare alle diocesi nelle prossime settimane. È stata una bella esperienza, questa condivisione lunga due giorni al tavolo 52, non solo per il risultato prodotto (la relazione) in cui abbiamo fatto del nostro meglio ma onestamente non crediamo di aver partorito l’uovo di Colombo o chissà quale novità sensazionale per risolvere i problemi del catechismo nelle nostre parrocchie. È stata una bella esperienza anche e soprattutto perché dietro i nostri interventi e dentro i nostri interventi sono affiorati vissuti di chiesa provenienti da parti d’Italia e da prospettive molto diverse. Fra i miei compagni di tavolo, per esempio, c’era il vescovo di Rimini, Nicolò, che ci ha raccontato i suoi giri in lungo e in largo dentro l’ospedale cittadino al fine di conoscere uno a uno decine di infermieri, medici e personale amministrativo e formare (dentro l’ospedale pubblico) un gruppo di sognatori di Vangelo che prima di questo lavoro di tessitura del vescovo nemmeno si conoscevano. Sempre al tavolo 52 ho fatto amicizia con Valentina, una ragazza proveniente dalla diocesi di Venezia che lavora in una banca specializzata in recupero crediti: “Anche e soprattutto in un luogo di lavoro come il mio – ci ha raccontato – dove spesso si è costretti a svolgere un compito abbastanza ingrato nell’ambito del recupero crediti, una testimonianza cristiana è possibile e preziosa, per ricordarci a vicenda fra noi impiegati di essere fatti per amare ed essere amati, prima ancora che per riscuotere un credito”. E poi ho conosciuto la bellissima testimonianza di don Emanuele, un giovane prete marchigiano di Senigallia che, insieme al suo parroco, ospita in canonica 4 studentesse universitarie: “Io e il mio parroco abbiamo pensato che la corresponsabilità dei laici e l’apertura al mondo andasse testimoniata partendo dal nostro modo di abitare. In canonica avevamo tante stanze libere, e così abbiamo ospitato queste studentesse, alcune delle quali vicine alla chiesa, altre meno (almeno in partenza). Non è che ospitiamo queste ragazze in un’ala della canonica a parte, ma cerchiamo veramente di vivere insieme, pregando insieme con chi vuole, cucinando insieme e mangiando tutti e 6 insieme spesso e volentieri. Per le ragazze questa convivenza è un modo di mettersi alla prova in una esperienza abitativa fuori dalla casa dei genitori in attesa di un progetto di vita più definito e autonomo una volta completati gli studi. Per me e per il mio parroco è un modo bello per restare in sintonia e a stretto contatto con i ragazzi di oggi, provando a condividere quello che siamo e quello che abbiamo e cercando di imparare dagli stimoli e dalle provocazioni che le nuove generazioni ci lanciano”. E poi, sempre intorno allo stesso tavolo da 10, ho conosciuto don Luigi, con Francesca, con Federico, con don Francesco e don Samuele… Prima della messa finale nella tarda mattinata di domenica i 100 tavoli dell’assemblea sinodale si sono sciolti, ma non si sono sciolti i legami creati. Da qualche ora ho un nuovo gruppo whatsapp sul telefonino: si chiama “Tavolo 52”, e dentro c’è il regalo più bello che questa assemblea sinodale mi ha fatto: 9 nuovi amici che in città diverse (da Taranto a Mestre passando per Cassano Jonio e Casale Monferrato) e in ruoli diversi provano a vivere il mio stesso sogno di una chiesa italiana on the road».