Sul litorale a 20 km a nord di Napoli c’è una cittadina di 20mila abitanti di cui la metà sono di origine nigeriana. Questa cittadina si chiama Castelvolturno, ed è considerata il paese più africano d’Italia. Fino agli inizi degli anni ‘80 di persone con la pelle nera in questo angolo di Campania non ce n’erano, perché Castelvolturno era una perla balneare, con chilometri di spiagge e pineta stile Maremma, e con tante seconde case di famiglie napoletane che venivano qui a farsi la stagione in villeggiatura. Poi un combinato disposto di terremoto (nella vicina Avellino), inquinamento e mala amministrazione ha lentamente ma progressivamente fatto decadere la buona fama di questo lembo di costa tirrenica. Tanti edifici, sia abitativi sia commerciali, sono finiti nell’abbandono. E la malavita ha cominciato a guadagnare terreno, trasformando la via Domiziana (lo stradone lungo 10 km parallelo al mare lungo il quale sorgono i diversi quartieri di Castelvolturno) in un ricettacolo di commerci illeciti. È proprio a questo punto della storia che gli immigrati nigeriani sono arrivati in numero sempre maggiore: prima centinaia, poi migliaia; attirati da una possibilità di alloggio a poco prezzo, e da diverse possibilità di lavoro (in edilizia e in agricoltura) seppure malpagato e spesso senza diritti, con paghe da sopravvivenza e niente di più.
In questo contesto così particolare il progetto “Le quattro del pomeriggio” della Caritas diocesana di San Miniato ha provato a inserirsi per una settimana di volontariato con 8 studenti delle scuole superiori del comprensorio del Cuoio, capeggiati dal sottoscritto, insegnante di religione di diversi di loro. Abbiamo fatto base nei locali del Centro Fernandes, una casa di accoglienza della Caritas di Castelvolturno dove vivono alcune decine di persone in stato di bisogno, mentre nella parte centrale delle giornate le nostre guide di eccezione locali sono stati Massimo Antonelli e Damiana Intravaja. Massimo è un ex campione italiano di basket (scudetto con la Virtus Bologna a fine anni ‘80) che da cinque anni ha deciso di restituire al basket un S po’ della ricchezza che ha ricevuto: si è lanciato nella pazza impresa di fondare una squadra di basket giovanile (Tam Tam Basketball) nel cuore di Castelvolturno, con zero costi per i ragazzi e le ragazze che venivano a giocare; tutto coperto tramite donazioni di amici campioni e sponsor vari. Una scommessa stravinta, che ha regalato la possibilità di fare sport ad alti livelli e di integrarsi nella società a decine di ragazzini e ragazzine italo-nigeriani. I nostri ragazzi di San Miniato hanno fatto amicizia con loro, mangiando ogni giorno insieme alla squadra alla mensa del Centro Fernandes, andando al mare tutti insieme fra un allenamento e l’altro, e lavorando insieme al rifacimento delle linee di vernice del campo di basket all’aperto, dietro alla spiaggia dove la squadra di Massimo si allenava nei primi anni di vita, quando la bellissima palestra costruita a suon di donazioni ancora non esisteva. Un’esperienza di lavoro concreto che ha permesso ai giovani volontari della nostra diocesi di lasciare un piccolo segno concreto di omaggio alla squadra di basket più bella d’Italia.
L’altra guida della settimana Caritas a Castelvolturno è stata invece Damiana, una ragazza universitaria di 20 anni che insieme a un gruppo di amiche sue coetanee è riuscita a prendere in gestione una villetta confiscata dallo stato alla camorra, a pochi metri dalla spiaggia. In questa casa restituita alla collettività Damiana e le sue amiche guidano un sacco di proposte di volontariato per i bambini del territorio: centri estivi, attività doposcuola, laboratori su ecologia e legalità in collaborazione con le scuole primarie. Damiana ha fatto conoscere agli studenti sanminiatesi le tante associazioni del territorio che fanno rete tra di loro per favorire la cura dei beni comuni e lo sviluppo di un senso civico da parte degli abitanti del luogo: dai ragazzi che tolgono i rifiuti dalle spiagge a quelli che curano la riserva naturalistica rifugio degli uccelli migratori di tantissime specie diverse; dalla compagnia teatrale di ragazzi universitari e delle superiori al gruppo di sarte nigeriane uscite dalla tratta della prostituzione e che alla “Casa di Alice” (questo il nome dato da Damiana e le sue amiche al bene confiscato loro affidato) hanno trovato una sede per i loro lavori con la macchina da cucire. Tanti incontri e tante esperienze accomunate dal filo rosso dell’impegno per gli altri, della promozione sociale e della tutela dell’ambiente. Una grande lezione di vangelo e di educazione civica di cui i nostri ragazzi faranno tesoro per riempire di umanità la loro vita quotidiana nei paesi della nostra diocesi.