Commento sull'Esortazione Apostolica di Papa Leone XIV «Dilexi te»

I poveri sono «dei nostri»

di Giovanni M. Capetta

La recente Esortazione Apostolica di Papa Leone XIV, «Dilexi te» sull’amore verso i poveri è uno sprone anche per tutte le famiglie cristiane a non perdere di vista l’opzione preferenziale per i poveri che deriva dal Vangelo.

Il testo richiama con forza come non si dia amore per Gesù Cristo senza amore per i poveri che sono il suo volto e il suo corpo nella storia. Il richiamo del pontefice va a scandagliare tutte le occasioni in cui il popolo di Dio nella storia della Chiesa è stato invitato ad avere uno sguardo di predilezione per i poveri e come sia necessario superare quei pregiudizi che ci fanno credere che i poveri siano un frutto ineluttabile del destino o addirittura siano essi stessi causa della loro condizione. Quella che si deve superare è la logica che dà per scontata l’esistenza dei poveri fino al punto di non sentirne più il grido di ingiustizia. I poveri devono scomodarci e soprattutto ci invitano a cambiare mentalità riguardo alla nostra condizione di benessere come se fosse meritata. In realtà siamo chiamati a vivere diversamente da quanto la società ci indurrebbe a fare e a considerare la possibilità di contrastare la povertà con il nostro stile di vita e la nostra solidarietà nei confronti di chi ha meno di noi. Si tratta di sentirsi corresponsabili nel tentativo di abbattere le strutture di peccato che provocano squilibri sociali e indigenza fra le popolazioni del mondo.

Seguendo una logica di peccato «diventa normale ignorare i poveri e vivere come se non esistessero» (DT 93), mentre da parte nostra va sottolineato il bisogno di riconoscerci sempre debitori di attenzioni e premure nei confronti dei poveri che incontriamo sulla nostra strada. È compito di tutti i membri del Popolo di Dio far sentire, pur in modi diversi, una voce che svegli, che denunci, che si esponga anche a costo di sembrare degli «stupidi». (DT 97). Dobbiamo sentire forte la responsabilità nei confronti dei poveri i quali vanno prima di tutto ascoltati e le famiglie cristiane sono chiamate a farsi prossime dei poveri, anzitutto facendo come un esame di coscienza sul loro stile e tenore di vita; quindi riconoscendo i poveri più prossimi, come le tante persone povere di relazioni e che soffrono la solitudine; poi educandosi per far crescere nei figli una cultura che riconosca quanto tutti dobbiamo fare la nostra parte perché fratelli di ogni uomo.

Il cristiano non può considerare i poveri solo come un problema sociale: essi sono una «questione familiare». Sono «dei nostri». (DT 104). Sull’esempio del buon Samaritano siamo tutti chiamati a farci prossimo del povero perché Gesù ci chiede di comportarci come lui. Le parole finali della parabola evangelica – «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10,37)– sono un comando che un cristiano deve sentire risuonare ogni giorno nel suo cuore (DT 107). Anche il gesto dell’elemosina assume un valore che non va mai trascurato perché è a partire dai piccoli gesti che si inverte la cultura dell’indifferenza e dello scarto. L’elemosina rimane un momento necessario di contatto, di incontro e di immedesimazione nella condizione altrui (DT 115). L’invito è a non fermarsi a livello delle discussioni e dei dibattiti sulla povertà, ma a contrastarla con gesti concreti della nostra quotidianità affiancando l’elemosina alla preghiera. Sarebbe un segno mettere in famiglia un salvadanaio dove ciascuno mette il suo piccolo contributo di elemosina per i poveri, frutto di qualche piccola o grande rinuncia. Le famiglie possono farsi carico dei poveri venendo incontro alle loro necessità e sposando la loro causa con convinzione sapendo che non si può lasciare alle sole istituzioni l’onere di risolvere il problema della povertà. Stare dalla parte dei poveri sempre e comunque è il modo di essere Chiesa voluto dal Signore e comporta un’attenzione e una sollecitudine costante nel tempo e concreta nei fatti, certi che Cristo è sempre nel povero sofferente che aspetta il nostro aiuto.