Con il racconto dell’esperienza fatta in Bosnia Erzegovina, si chiudono i report settimanali sul progetto «Le 4 del pomeriggio» di Caritas, che nell’estate scorsa ha portato i giovani dei nostri territori in luoghi come Castelvolturno, Gerusalemme, Taizé.
Caritas San Miniato questa estate ci ha permesso di vivere un’esperienza indimenticabile: un viaggio in Bosnia-Erzegovina. A partecipare siamo stati noi: Elisa, Caterina, Laura, Klea, Manuele e Tommaso, un gruppo di giovani della nostra diocesi con altri due gruppi provenienti dalle diocesi di Grosseto e Volterra. Durante questa settimana abbiamo potuto capire più da vicino il periodo della guerra avvenuta in Jugoslavia tra il 1991 e il 1995, in particolare in Bosnia[1]Erzegovina, rendendoci conto che tutt’oggi esistono ancora forti divisioni mai risolte. Il 23 agosto siamo arrivati a Sarajevo e siamo stati ospitati dalla struttura Nuovo centro giovanile Giovanni Paolo II, luogo di accoglienza e incontro per i giovani del luogo.
Durante i primi giorni abbiamo visto e conosciuto la città, nella quale si cammina letteralmente all’interno della storia: convivono insieme strutture moderne, di epoca comunista, della dominazione austroungarica e dell’impero ottomano. La visita a Sarajevo è stata arricchita anche attraverso un tour interreligioso, necessario per comprendere i diversi culti che la città accoglie. In particolare, abbiamo avuto l’occasione di incontrare l’arcivescovo, il quale ci ha spiegato che per vivere bene la fede cattolica bisogna mettere contemplazione, liturgia, carità e teologia nella stessa quantità. Ciò che ha iniziato a farci capire cosa ha vissuto questa terra, è stato l’incontro con un ex detenuto di guerra. Ci ha parlato dell’inutilità del rancore e dell’odio che non C potrà mai costruire nulla, ma portare solo morte e distruzione.
Dopo questo inizio di conoscenza culturale della città, siamo entrati ancora più nel vivo dell’esperienza con la visita al tunnel Spasa (“speranza”), dove abbiamo provato a rivivere il dramma di coloro che passavano da là sotto per cercare di recuperare quanto necessario alla sopravvivenza nel periodo dell’assedio. Il museo d’infanzia di guerra è riuscito invece a farci comprendere com’era essere un bambino durante quegli anni, attraverso oggetti e storie che ci hanno toccato in modo particolare. Il carico di emozioni si è arricchito ancora di più con la visita a Srebenica, luogo in cui migliaia di persone si rifugiarono nella convinzione che fosse una “safe zone”, quando in realtà era soltanto una trappola che portò alla morte 8372 persone (un numero che a tutt’oggi è in aumento, a mano a mano che si chiariscono le vicende dell’eccidio). Camminare tra le innumerevoli tombe e vedere filmati e foto di questo avvenimento, ci ha fatto provare emozioni che nessuno di noi dimenticherà mai.
Il nostro viaggio si è concluso con altre due tappe. La prima è stata Mostar, dove abbiamo attraversato il ponte che venne distrutto durante la guerra per dividere i cristiani e i musulmani. Da qualche anno è stato ricostruito in segno di unione. In questa città abbiamo potuto anche visitare la cooperativa “Betania” con don Desiderio, che aiuta e accompagna gli anziani e i malati terminali. L’ultima tappa è stata Trieste che abbiamo potuto visitare con don Davide, sacerdote della città, con il quale abbiamo potuto concludere con più leggerezza questo viaggio.
Ringraziamo la Caritas diocesana per averci dato la possibilità di vivere un’esperienza così bella, che ci ha fatto rendere conto, almeno un po’, di cosa significhi essere una mamma, un ragazzo o una persona anziana durante la guerra. Non si può mai sapere cosa si prova in una situazione simile finché non la si vive, ma riteniamo che anche il solo conoscere, ascoltare e vedere, possa essere un abbraccio a quel bambino che non è riuscito a tornare a casa dopo scuola.