In occasione della celebrazione della Giornata mondiale della vita, vogliamo ricordare ai colleghi medici, cattolici e non, e a tutti i cittadini che fruiscono delle prestazioni sanitarie, alcuni aspetti del giuramento di Ippocrate che è tuttora valido e che è stato acquisito dal nostro Codice Deontologico.
In primis ricordiamo che è dovere del medico la tutela della vita, in ogni suo aspetto, senza discriminazioni di sorta. Questa regola comportamentale è fondamentale per tutti noi e può arrivare, talvolta, anche a porsi in diretto contrasto con alcune normative vigenti. Tale atteggiamento è un’applicazione del punto di vista della professione medica normato dagli articoli 3 e 32 della Costituzione della Repubblica italiana. La nostra attività, da millenni è il più naturale supporto per difendere la salute e quindi la vita come fondamentale diritto del singolo e interesse della collettività (art 32). Il medico (art 3) deve sempre assicurare la difesa e il rispetto della vita, in ogni momento dello svolgimento della propria professione senza discriminazioni di razza, età, sesso, religione, appartenenza politica etc.
Per poter attuare quanto sopra riportato dobbiamo ispirarci ai valori etici fondamentali, assumendo come principio il rispetto della vita, della salute fisica e psichica, della libertà e della dignità della persona, dal suo nascere fino alla fine naturale.
Se finora il principio della indisponibilità della vita era assicurato e garantito dallo Stato libero, democratico e aconfessionale, ora sembrerebbe che venga statuito, non il diritto o il dovere di curarsi o non curarsi (che è previsto dal consenso informato), ma la possibilità di una disponibilità della vita stessa per il singolo, attraverso magari una surrettizia forma di “suicidio assistito” quando il paziente decida di interrompere la sua esistenza perché le sue sofferenze non sono più sopportate.
Il venir meno del principio dell’indisponibilità della vita, che da assoluto diventa per legge derogabile attraverso l’autodeterminazione personale, crea, a nostro giudizio, un grave “vulnus” alle basi stesse della democrazia e del bene comune, perché lede i principi di solidarietà e di giustizia verso intere categorie di persone fragili: i malati cronici, gli anziani, i disabili, i malati di mente, i morenti di cui lo Stato potrebbe negare forme di assistenza e di tutela.
Qual è la posizione dei medici cattolici sul fine vita? I medici cattolici sono in trincea contro l’eutanasia e il suicidio assistito e sono pronti ad ostacolare queste azioni con l’obiezione di coscienza. Ai medici non può essere richiesto di causare o provocare la morte! Qualunque medico che sia indotto o agisca per mettere fine alla vita di un suo paziente, di fatto, tradisce la sua stessa missione che è quella di restare accanto alla persona sofferente, sempre, indicando e valutando caso per caso la proporzionalità delle cure. I medici cattolici desiderano richiamare e sottolineare il primato della coscienza, un primato centrato sulla libertà e su tutto quell’insieme di priorità e valori che lo definiscono. Tutte le libertà vanno riconosciute: La libertà della persona, soprattutto se sofferente, è un primo diritto inalienabile. La libertà però non riguarda soltanto la persona sofferente: Se è vera, questa libertà interessa la comunità organizzata e presuppone necessità educative. Al pari vanno tutelate la libertà e l’autonomia del medico che devono essere riconosciute costituzionalmente come diritto civile e mai sbriciolarle come sta accadendo. Chi esercita la difficile arte medica non può scegliere di far morire e nemmeno di far vivere ad ogni costo contro ogni ragionevole logica. I medici cattolici rivendicano con forza la necessità che lo Stato si impegni nel dotare il SSN di un compiuto e omogeneo sistema di cure palliative per offrire al paziente e alla famiglia il miglior accompagnamento e sostegno possibile nella fase terminale della vita. Urge attuare su tutto il territorio nazionale la grande potenzialità della legge 38 del 2010. «Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore» e ciò va realizzato in modo omogeneo e universalistico. I medici cattolici, equipaggiati scientificamente e spiritualmente, hanno poi una missione importante che è quella primaria di ascoltare, accogliere sempre, dare ospitalità, sapientemente agire e consolare! È l’integrità del medico a rendere inconciliabile l’arte medica con l’eutanasia: non vi sono alternative!
La medicina è sempre per la vita e a favore della vita, che deve essere accompagnata senza alcun disimpegno e senza mai abbandonare nessuno, continuando a curare soprattutto quando non si può più guarire. I medici cattolici, da protagonisti nella costruzione quotidiana della salute e del bene comune, sono da sempre rispettosi della vita, di qualunque vita, dal concepimento sino alla fine naturale dell’esistenza; hanno l’ulteriore impegno della formazione: devono riflettere sul “come” portare a tutti il messaggio di Cristo per far comprendere profondamente il messaggio del Vangelo, sostegno ineludibile di ogni vita e di ogni sofferenza. Per non diventare prime vittime di una virale frammentazione sociale vi è necessità di unità e di sostegno da parte di tutti per le tante cose che devono affrontare con concretezza in tutti gli ambiti sanitari e sociali. Molte altre associazioni e movimenti ecclesiali lavorano con questa prospettiva di lavoro e operano con discernimento. I medici cattolici in una prospettiva di unità operativa desiderano “lavorare insieme” per essere in prima fila in difesa dei diritti umani accanto a tutti gli uomini, le donne e i bambini di buona volontà per promuovere la difesa della vita, dal concepimento sino al termine naturale. Invocano il diritto all’obiezione di coscienza, affinché da operatori attenti, ma anche in «ascolto delle parole ultime» possano responsabilmente rivendicare il diritto di operare liberamente in scienza e coscienza, illuminati dalla fede in difesa della dignità di tutto l’essere umano, di ogni uomo e di tutti gli uomini.