In passato l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi si realizzava grazie ad un processo di socializzazione religiosa, determinato da un contesto socio-culturale attraversato da una visione cristiana della vita. Oggi questo processo educativo non si realizza più per molteplici cause che sarebbe difficile spiegare in questo primo e semplice intervento introduttivo sul tema della trasmissione delle fede. Erano indubbiamente le famiglie che, con il loro ruolo educativo tradizionale rappresentavano le radici della vita cristiana. E la pedagogia ci insegna che l’esperienza religiosa vissuta in famiglia nei primissimi anni di vita ha un peso spesso determinante nello sviluppo successivo della dimensione religiosa della persona. In famiglia l’educazione della fede permette una vera integrazione tra fede e vita, e quindi un’autentica crescita della vita di fede, perché l’insegnamento che viene dato dai genitori è legato ai fatti e alle situazioni concrete di ogni giorno. Tutti abbiamo avuto modo di constatare che, se alle spalle dei ragazzi non c’è una famiglia credente, è molto difficile educarli alla vita di fede.
I ragazzi che provengono da una famiglia credente sono purtroppo un numero molto esiguo rispetto alla maggioranza dei ragazzi che invece hanno dei genitori deleganti. Molte famiglie affidano I il compito dell’iniziazione cristiana dei propri figli ai sacerdoti e ai catechisti, inviano e delegano ad esperti o addetti ai lavori, non si coinvolgono, restano ad aspettare fuori della sala parrocchiale come si potrebbe fare per una qualsiasi lezione di recupero scolastico, quando va bene si limitano ad animarsi per le consuete scadenze sacramentali. A cosa è dovuto tutto ciò? E come si comporta la Chiesa di fronte a questo evidente fallimento nel processo di trasmissione della fede?
Le cause sono molte, indubbiamente, dalla metà degli anni ‘60 abbiamo assistito ad un lento declino del matrimonio e alla diffusione di una molteplicità di tipologie familiari. I cambiamenti nel modo di concepire la famiglia, con una crescente disaffezione nei confronti della famiglia tradizionale, fondata sul matrimonio e rappresentata da una rigida distinzione dei ruoli hanno determinato una crescente instabilità e fragilità del legame coniugale. Il mutamento dei ruoli maschili e femminili, la considerevole crescita delle opportunità lavorative per le donne, il loro impegno fuori casa, hanno provocato tensioni nella coppia rompendo gli schemi tradizionali.
Stiamo assistendo ad un cambiamento sociale e strutturale delle famiglie con la nascita di nuovi assetti familiari. Ne è prova l’aumento dei divorzi, delle separazioni e la comparsa di famiglie ricomposte: questo acuisce le difficoltà perché richiede una continua negoziazione delle dinamiche familiari. Il ruolo genitoriale è messo in crisi: gli stili educativi appaiono spesso contrapposti e dilaga la confusione nella relazione genitori-figli. Si registrano forti difficoltà a stabilire ruoli chiari e diretti e a instaurare modalità comunicative efficaci. Di fronte di tale complessità e al forte senso di inadeguatezza si evidenzia la tendenza alla delega. Il comportamento genitoriale attuale dimostra tante difficoltà e tante paure. È impegnativo fermarsi, guardarsi dentro, relazionarsi con gli altri, ascoltare. Crea disagio parlare di tematiche religiose, fa scoprire le proprie inadeguatezze e le proprie incoerenze. È molto più facile chiudere con il discorso religioso, ritenendolo inutile e anacronistico. Ma noi sappiamo che tutte le persone hanno bisogno di attenzione e di accompagnamento al di là dell’età che hanno e del ruolo sociale che rivestono. Questo difficile tempo del distanziamento ha evidenziato ancor più come tutti necessitiamo del nutrimento dell’incontro con l’altro.
La Chiesa non può volgersi dall’altra parte scegliendo la strada più semplice, cioè accettare passivamente questa delega senza occuparsi di sanare questo gap educativo intergenerazionale: si devono aiutare i genitori a svolgere il loro “ministero di evangelizzazione” è necessario coinvolgerli in un cammino di fede che li aiuti anzitutto a “essere” genitori cristiani. Essi, per poter diventare protagonisti dell’evangelizzazione dei figli e dell’intera famiglia, hanno bisogno quindi – il più delle volte – di essere evangelizzati. Pertanto occorre passare da una iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi accompagnata dal tentativo di coinvolgere i genitori, all’evangelizzazione dei genitori e al loro coinvolgimento attivo nell’educazione cristiana dei loro figli.
A proposito di questo vorrei ricordare alcune frasi di papa Francesco tratte da un’intervista apparsa sull’Osservatore Romano del 4 maggio 2018: «La fede non è soltanto la recita del credo: la fede si esprime nel Credo ma è di più», «trasmettere la fede non si può fare meccanicamente, non è dare informazioni, ma fondare un cuore, fondare un cuore nella fede in Gesù Cristo», «La Chiesa è madre se trasmette la fede nell’amore sempre con aria di amore, non si può trasmettere la fede senza questa aria materna», «la vera fede si trasmette sempre in dialetto, in lingua materna, e lì si trasmette la fede “maternalmente”».
Potremmo ripartire da questo invito: far sedere allo stesso tavolo madri e figli/e provando a coinvolgere la famiglia nella catechesi e nel processo di Iniziazione cristiana, superando la delega dell’educazione alla fede ai catechisti, in maniera graduale, perché gli adulti non si trovino a disagio a trasmettere una fede di cui essi stessi non sono consapevoli fino in fondo, o che sentono la necessità di rivedere completamente.
Occorre ridare capacità generativa alla Chiesa anche attraverso esperienze umane nuove, vissute sul campo, senza pregiudizi o precomprensioni perché come ha detto papa Francesco: «la fede va trasmessa di generazione in generazione, come un dono, nell’amore della famiglia: lì si trasmette la fede, non solo con parole, ma con amore, con carezze, con tenerezza».