Nella quarta domenica di Avvento, il Vangelo di Luca ci immerge nella scena della Visitazione. Ai nostri microfoni immaginari la madre del Battista racconta del suo legame con Maria, della fede incrollabile delle donne e riflette sul canto del Magnificat e su due “Visitazioni” presenti nella nostra diocesi
Elisabetta, mi permetta innanzitutto di ringraziarla per averci concesso questo dialogo fuori dal tempo. Iniziamo dalla sua storia. Chi era Elisabetta prima di diventare la madre del Precursore?
«È un piacere parlare con lei. In poche parole: sono Elisabetta, figlia della casa di Aronne. Nella mia giovinezza ero semplicemente una donna di fede, profondamente radicata nella Legge di Mosè. Sposai Zaccaria, un sacerdote del Tempio. Insieme vivevamo una vita semplice e devota. Tuttavia una ferita ci accompagnava: eravamo senza figli, e nella nostra cultura questo veniva spesso visto come un segno di non benedizione divina. Ma, come ha visto, il Signore aveva piani che andavano oltre la nostra comprensione».
E sulla incredulità di suo marito Zaccaria cosa puoi dirci?
«Ah, Zaccaria! Era un uomo giusto e timorato di Dio, ma anche un… uomo… appunto… razionale, con tutte le sue debolezze. Quando l’angelo Gabriele gli annunciò la nascita di Giovanni, lui esitò, volle una prova. Noi donne, invece, abbiamo un cuore diverso: crediamo da subito e fino all’ultimo, custodiamo la speranza anche quando sembra impossibile. Così Dio gli tolse la parola. Era una lezione, ma anche un dono: nel silenzio Zaccaria imparò a riconoscere i segni del Signore».
Suo figlio Giovanni Battista è stato un uomo straordinario. Ma com’era da bambino? Aveva un carattere difficile?
«Giovanni era un bambino fuori dal comune, come se portasse nel cuore una chiamata fin dal grembo. Lo ricordo inquieto, pieno di energia, e al tempo stesso capace di un silenzio profondo. Crescendo divenne un ragazzo forte e austero, quasi duro con se stesso. Non era capriccioso, no, ma severo. Ogni tanto Zaccaria ed io scherzavamo dicendo: “Ecco, il deserto lo chiama già”, e lui allora si arrabbiava un po’ con noi. Non gli interessavano i giochi, le comodità. Cercava Dio, sempre e ovunque».
Parliamo del Magnificat. Lei ha avuto il privilegio di ascoltarlo in diretta, dalla voce stessa di Maria. Come fu quel momento?
«Fu più di un canto. Fu un inno di lode, una profezia che squarciava il tempo. Maria lo recitò con voce dolce, soave come un ruscello che scorre tranquillo, ma le sue parole erano un terremoto. Parlava di un Dio che rovescia i potenti, che innalza gli umili, che sfama i poveri. Era il riscatto promesso. Ascoltandola, sentii che il mondo stava cambiando, che l’attesa si stava compiendo».
E oggi a che punto siamo? Alla luce di come va il mondo, le promesse del Magnificat si stanno realizzando?
Tira un lungo sospiro – «Ahimè caro amico, il mondo ha un cuore duro a convertirsi. Gli umili ancora attendono giustizia e i potenti siedono saldi e sicuri sui loro troni. Questo però non deve farci disperare. Il canto di Maria è una promessa in atto, un già e non ancora. Ogni volta che qualcuno si china ad aiutare un povero, ogni volta che un potente si lascia toccare dal cuore di un piccolo, il Magnificat si compie. È un canto che si realizza giorno dopo giorno, anche se gli uomini sembrano non accorgersene».
Lei e sua cugina Maria vi incontravate spesso? Di cosa parlavate quando eravate insieme?
«Beh, direi di sì, da buone cugine! – ride – Quando potevamo, nonostante la distanza tra i nostri villaggi, ci ritagliavamo momenti per stare insieme. Parlare con lei era come fede». stare alla luce del sole: la sua presenza scaldava l’anima. Parlavamo di Dio, della vita quotidiana, dei figli. Maria era silenziosa e umile, ma anche forte come una roccia. Nessuna parola superflua, solo profondità e pace».
Ogni generazione di cristiani ha immaginato Maria come la più bella tra le figlie di Eva. Lei che l’ha vista, com’era?
«Non sbagliano. Maria era di una bellezza delicata, semplice e pura. Non era la bellezza dei ricchi o dei potenti, ma quella che viene dalla luce interiore. I suoi occhi? Limpidi come il cielo. Il suo sguardo? Penetrante come il giudizio di Dio. Il suo sorriso? Un fiorire di primavera…».
Il Vangelo di questa domenica ci mostra il suo ruolo come testimone della grandezza di Maria. Come si sente sapendo che la Chiesa continua a proclamare la sua storia?
«Sono onorata. Non ero altro che uno strumento nelle mani di Dio, ma è confortante sapere che la mia voce ha trovato eco nei secoli. Ogni volta che la Chiesa legge quel brano di Luca, spero che le persone ricordino che la gioia di riconoscere la presenza di Dio negli altri è il cuore della fede.
Il tema della Visitazione ha ispirato opere d’arte celebri. Per rimanere nel nostro piccolo, al Museo diocesano di San Miniato abbiamo, ad esempio, la Visitazione di Matteo Rosselli… oppure mi viene in mente la Visitazione che Anton Domenico Bamberini ha dipinto per la chiesa della Madonna della Cava a Casciana Alta. Conosce queste tele?
«Oh sì! Rosselli ha catturato quell’incontro con una maestria che commuove. Il mio gesto di accogliere Maria, le sue mani tese verso di me… tutto racconta la gioia e la sorpresa di quei momenti. I colori sono vividi, ma senza eccessi, proprio come la scena reale: sobria, ma colma di Spirito. La scena del Bamberini invece è diversa, ma altrettanto intensa. L’artista ha scelto un’ambientazione più solenne, con lo sfondo architettonico e le nubi scure. È come se avesse voluto dirci: “Questo incontro avviene sotto lo sguardo del Cielo, in un mondo che sta per essere trasformato”. È un dipinto che invita alla meditazione».
Un’ultima domanda. Qual è il messaggio che vorrebbe lasciare al mondo di oggi?
«Credete come credette Maria. Sperate come sperai io. Non lasciatevi vincere dall’incredulità, come successe a Zaccaria. Dio è fedele e le sue promesse si compiranno, anche quando tutto sembra buio. E ricordate: gli ultimi saranno i primi. Questo è il canto del Magnificat. È una promessa, ma anche una chiamata. Fate la vostra parte».