Riflettori ancora accessi sul Convegno della Chiesa toscana del 23 novembre scorso, che ha portato alla Facoltà teologica di Firenze quasi duecento delegati dalle 18 nostre diocesi, per riflettere su tre parole sensibili come «Umiltà, disinteresse e beatitudine», chiavi interpretative del discorso di papa Francesco alla Chiesa italiana del 2015.
Cuore del convegno è stato il confronto tra i delegati ai tavoli tematici (politica, lavoro, sanità, ecologia, scuola, famiglie, giovani, comunicazione e arte) attivati per riflettere attorno allo stile col quale essere presenti da credenti nelle nostre società, col desiderio soprattutto di rendere concreto quell’umanesimo che ha al centro Gesù Cristo come eterno modello dell’uomo. Gli atti del convegno soprattutto dei laboratori -, sono “in cottura” e saranno resi disponibili già all’inizio del nuovo anno, in modo da definirne le ricadute nelle Chiese locali. La diocesi di San Miniato era rappresenta, oltre al sottoscritto, da altri quattro delegati. Li abbiamo raggiunti per un feedback e un’impressione sul convegno.
Alessandra Dal Canto, insegnante di religione, partecipava al tavolo sulla scuola: «Ho trovato necessaria e quanto mai opportuna l’idea di dare continuità al convegno della Chiesa italiana del 2015. Bellissimo il clima di convivialità tra noi delegati. Si è respirata un’aria di festa e un fermento di proposte per rimettere in moto il messaggio del papa di 4 anni fa. Il livello della relazione del gesuita Theobald è stato altissimo, come un dissetarsi sulle alte vette. Un discorso certo complesso, ma ho notato che alla fine i concetti che voleva trasmettere sono rimasti tutti. Al mio tavolo di discussione sulla scuola c’è stata ottima partecipazione e una gran voglia di ascoltarsi. Erano presenti varie anime della scuola. Abbiamo raccontato la nostra esperienza di osservatori privilegiati e testimoni. Il minimo comune multiplo di tutto il discorso è stato l’importanza della coerenza, della concordanza tra ciò che si dice e ciò che si fa. Durante il confronto sono stati richiamati alcuni pensieri di Umberto Galimberti: «I giovani stanno male. Mancano di scopo. La radice del male è profonda. Lo scenario di redenzione che prima veniva offerto dalla religione, tende a rilassarsi. Non abbiate più speranza nella scuola». Parole che restituiscono una fotografia disarmante sullo status quo dell’istruzione. Come credenti c’è veramente parecchio da impegnarsi. Ma sarebbe un errore aver paura, siamo in tanti a voler realizzare il vangelo nei luoghi dove viviamo. Mi auguro allora davvero che questo appuntamento sancisca la ripresa effettiva del convegno di quattro anni fa. Sarebbe importante come singoli gruppi continuare a vederci e a discutere. E se ci chiameranno, noi ci saremo».
Emanuele Salassa, responsabile Cet per la pastorale giovanile, presiedeva il tavolo sui giovani: «Il Convegno di Firenze è stato inaspettatamente un’occasione importante per far parlare le diocesi toscane tra loro. Le riflessioni intorno alle tre parole chiave sono state solo un’apripista per parlare e confrontarci su ciò che ci inquieta in questo momento storico. Personalmente ho trovato ricchissima di spunti e suggestioni la relazione di padre Theobald. Mi ha colpito la sua risposta alla domanda di un convegnista che chiedeva se oggi avesse ancora senso la parrocchia come primo luogo di incontro. Il padre ha affermato che non si può prescindere da considerare necessaria la presenza della parrocchia perché «è l’incarnazione della Chiesa nel territorio», bellissimo! L’esperienza come coordinatore del tavolo mi ha fatto capire che la strada verso un impegno determinante dei cattolici nella vita del Paese presenta ancora diversi ostacoli, ma non mancano certo gli stimoli per far sì che la nostra voce possa essere sentita maggiormente in futuro. Ai giovani di oggi mancano dei modelli da seguire. Figure come Giorgio La Pira, che hanno lasciato il segno nella cultura civica italiana, sembrano oggi un miraggio. Dobbiamo allora andare a stanare quei tanti giovani, o quasi giovani, che senza tanti proclami e in punta di piedi, stanno lasciando il segno nei posti di lavoro dove il Signore li ha posti. Cerchiamo questi modelli. Raccontiamoli! Cerchiamoli e creiamo occasioni per farli conoscere!».
David Pupeschi, responsabile della nostra Pastorale familiare diocesana, ha partecipato al tavolo sulla famiglia: «Il convegno di Firenze ha rappresentato una forte esperienza di Chiesa. Condividere impressioni e sensazioni suscitate dagli interventi dei relatori fa crescere tanto. Nel laboratorio cui ho partecipato erano rappresentati molti segmenti di società: sacerdoti, responsabili delle pastorali familiari, persone ferite nell’amore coniugale, giovani sposi, consulenti matrimoniali… Siamo partiti dal nostro vissuto quotidiano, per provare a declinare il nuovo umanesimo di cui ci ha parlato Christoph Theobald. La speranza è che tutto questo non vada perso ma che diventi linfa in arrivo alle nostre Chiese locali. Da questo punto di vista il convegno potrebbe avere un seguito tematico. Un momento in cui i singoli tavoli potrebbero ritrovarsi e fare condivisione su certi argomenti, coordinando questo movimento con gli uffici della pastorale familiare della Cet».
Antonio Baroncini, collaboratore del nostro settimanale, era presente al tavolo sulla politica: «Il convegno è stata una fucina di domande a cui rispondere è sfidante. Lascio ad altri l’interpretazione teologica, scientifica ed accademica degli interventi ufficiali nel loro insieme, mi concentro sulle impressioni, portate dai vari delegati ai tavoli di lavoro. Come credenti dobbiamo trovare la forza per uscire dal guscio dell’indifferenza, della nostra comodità mondana per testimoniare, nei fatti, con una provocante azione di vita. Stando rintanati nelle nostre parrocchie non si avverte la ricchezza culturale del cristianesimo toscano. Venendo al convegno, sedendo ai tavoli, è invece emerso un grande patrimonio di uomini e donne a disposizione della Chiesa. Nel mio laboratorio di discussione politica si è invocato il convergere sulle nostre comuni radici cristiano cattoliche, per ritrovare unità d’intenti. Talvolta il nostro cristianesimo sembra ridursi ad organizzazione solo assistenziale, dimentica persino dell’aspetto spirituale. Eppure anche proprio sotto l’aspetto spirituale e culturale avremmo un patrimonio da regalare alle nostre società. Se manca questa consapevolezza e questa visione, siamo condannati a diventare semplice folklore popolare e zuppa di valori etici. Ma per un po’ d’etica a buon mercato basta Kant, non c’è bisogno della croce di Cristo. Ci è chiesto allora di uscire dal guscio, in umiltà di cuore, con disinteresse personale, avendo come bussola la beatitudine di spirito e di animo. Le parole non dicono più niente, la nostra gente ha bisogno di fatti; abbiamo bisogno di riproporre un modello. Le nostre parrocchie devono avere la porta aperta a tutti, perché tutti abbiamo bisogno di quell’aria che lì si respira. Il mio personale invito al tavolo è stato di recuperare quel senso politico che don Sturzo invitò a suo tempo a seguire: “La Politica è l’arte di fare il bene della gente”, fare il bene di tutti. Se si fa politica per interessi personali, di parte o di fazione, siamo già fuori dall’orizzonte cristiano. Su questo vedo un grande campo aperto al nostro impegno».
Chi scrive può confermare il grande fermento che questo convegno ha messo in moto. Il tavolo sul lavoro, cui partecipavo in veste di segretario, si è rivelato un pensatoio di idee fertili e originali, meritevoli di essere amplificate. Dobbiamo ritrovarci ancora! Ci sono tante eccellenze e tante intelligenze nelle nostre Chiese che restano nascoste e non emergono. E dobbiamo ringraziare i nostri vescovi che hanno avuto l’ispirazione di convocarci ancora una volta a Firenze. Faccio mie in conclusione le parole di Gustav Thibon, quando sosteneva che il compito dei credenti è l’essere insieme stranieri e presenti al proprio tempo: stranieri alle sue illusioni ma presenti a tutti i mali che derivano da quelle illusioni. Come Chiese toscane ci è chiesto di essere, oggi più che mai, presenti alle nostre comunità e ai tanti guasti che esse vivono. Non farlo sarebbe omissione. Coraggio allora, e avanti.