Con una “splendente” luna che emanava la sua limpida luce su un’incantevole piazza del Duomo di San Miniato e che sovrastava, nel suo parlante silenzio, le luce sceniche dei riflettori, il cantautore, attore e scrittore romano Simone Cristicchi ha emozionato, con intensità stringente, il pubblico intervenuto alla prima del Dramma Popolare.
«Il mio spettacolo non è un classico omaggio a Dante e alla sua poesia, ma la reazione che i suoi versi hanno generato in me», ha confessato Cristicchi. In questa affermazione vi è il significato originale del Teatro dello Spirito o, ancora meglio, del Teatro del Cielo, dove le rappresentazioni tematiche, le scenografie, le luci, entrano nella nostra intimità, nelle nostre riflessioni, nella nostra anima.
Il colloquio di Simone Cristicchi col Sommo Poeta viene alimentato sempre più da domande inquietanti in cerca di risposte. Dante, il ghibellin fuggiasco, usa sempre in chiusura delle sue tre cantiche della Commedia le “stelle” che per lui sono desideri e certezze di pace, di luce, di libertà, di amore. In questo rapporto tra la sua anima e le stelle sono molto significativi i verbi che usa nella sua poesia.
Nell’Inferno: «E quindi uscimmo a riveder le stelle». Dal tormento delle grida, dal dolore dei condannati, Dante vuole uscire. Vuole lasciare le pietose circostanze in cui si ammassa e si condensa il male dell’uomo e, attraverso il percorso di purificazione del Purgatorio, il poeta si dice «puro e disposto a salire a le stelle». Salire, andare in alto e, dopo la purificazione attraverso l’acqua, invita a veder le stelle, a stare con esse, pone delle condizioni: lasciare le cose che non contano e seguire invece l’essenza delle cose vere, umane, salvifiche. Quando lascia il Purgatorio e con esso Virgilio, sua guida, in cui identifica il sapere, la conoscenza, la storia, incontra Beatrice, depositaria di amore, di bellezza, di speranza, di grazia. Siamo giunti alla luce pura, al bene cosmico ed universale, al traguardo a cui Cristicchi, attraverso le risposte del Sommo poeta, vuole giungere per colmare le sue incertezze, per trovare fiducia e speranza in un mondo frastornato da apparenze e mediocrità. Dante al termine della terza Cantica scrive: «A l’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e ‘l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa». Lo sforzo dell’uomo si ferma, o meglio, si lascia attirare verso Dio. Infatti, dice Dante, già volgeva il mio desiderio e la mia volontà, come una ruota che è mossa in modo sincrono verso l’alto, che è «l’amor che move il sole e l’altre stelle».