Ha colto un po’ tutti di sorpresa la lettera che papa Francesco ha pubblicato lo scorso 17 luglio sul ruolo della letteratura nella formazione degli operatori pastorali e di tutti i cristiani. Se in passato la lettura di poesie e romanzi è stata spesso considerata qualcosa di superfluo o addirittura di pericoloso per la salute dell’anima, con questo documento il Santo Padre ha autorevolmente indicato nella letteratura una risorsa importante per la formazione umana e cristiana.
I suoi effetti positivi scaturiscono dal fatto stesso di mettersi in ascolto di quelle parole, quelle metafore, quelle narrazioni con cui l’essere umano ha espresso la propria indole più profonda, gli ideali e le imprese, le paure e le passioni che lo abitano. Conoscere queste manifestazioni dello spirito umano ci aiuta a parlare in modo più efficace al cuore degli uomini e a riflettere più ampiamente sulla «piena umanità del Signore Gesù, in cui si riversa la sua divinità». Dietro queste considerazioni si intuisce la riflessione del teologo della svolta antropologica, Karl Rahner, più volte citato nella lettera, che in un saggio intitolato «Sacerdote e poeta» coglieva nella parola poetica, piena di nostalgia dell’infinito, un appello, un’apertura alla parola della fede pronunciata dal sacerdote. «La parola poetica invoca la Parola di Dio», scriveva Rahner. Così papa Francesco, riprendendo l’insegnamento dei Padri della Chiesa, e dello stesso apostolo Paolo nel discorso all’areopago, invita a ricercare nelle opere letterarie, operando un autentico discernimento evangelico, i semi che lo Spirito ha sparso nelle diverse culture. L’approccio a generi e stili letterari diversi, l’ampliamento del vocabolario e quindi dei confini del nostro mondo, ci consentono di evitare letture fondamentaliste della Rivelazione e la chiusura nelle nostre idee preconcette, imparando ad apprezzare la polifonia, «ad ascoltare la Voce attraverso tante voci». La lettura di romanzi e poesie, inoltre, ci rende più sensibili al vissuto del prossimo e ci prepara ad affrontare le varie situazioni che possono presentarsi nella vita. Papa Francesco dedica alcuni paragrafi all’importanza dell’immaginazione, che – ricordiamo – il cardinal Newman definiva «la facoltà del possibile». Questa viene ampliata dalla consuetudine con la letteratura. Come insegnava il padre gesuita Michael Paul Gallagher, più che il contenuto dei testi è il processo della lettura, il dialogo autentico con l’autore, a trasformare il nostro modo di vedere il mondo e a rendere l’immaginazione più ricettiva e più aperta anche ai segni della presenza di Dio che si rivela.
Uno spunto di chiara ascendenza ignaziana che il Papa offre nella sua riflessione è quello sul discernimento degli spiriti che possiamo attuare anche leggendo opere letterarie. Come lettori siamo infatti coinvolti in prima persona, non solo come soggetto ma anche come oggetto di ciò che leggiamo. Considerare le emozioni provocate in noi dalla lettura di un testo, attraverso la dinamica delle “consolazioni” e “desolazioni”, ci aiuta a comprendere meglio noi stessi e quindi la volontà di Dio sulla nostra vita: «Leggendo un romanzo o un’opera poetica, in realtà il lettore vive l’esperienza di “venire letto” dalle parole che legge», scriveva ancora Rahner nel saggio citato.
Soffermarsi con pazienza su pagine che scandagliano il cuore comporta infine il vantaggio di farci rallentare, di staccarci dalla frenesia e dalla dispersione dell’ambiente mediatico e, attraverso una «lettura digestiva» (Michel De Certeau), attraverso quella che i monaci chiamavano ruminatio, farci digerire e assimilare la nostra «presenza nel mondo», andando oltre ciò che appare in superficie. La proposta del Papa, così ampia e articolata, merita di essere approfondita e, a mio avviso, può ricevere una particolare risonanza nella nostra Chiesa di San Miniato. Da noi c’è una lunga tradizione di attenzione all’incontro fra parola poetica e Parola di Dio. La tensione verso l’infinito che emerge dalle opere dei drammaturghi è stata oggetto di riflessione e di rappresentazione, per oltre settant’anni, sulla scena del Teatro dello Spirito. Dalla nostra diocesi non può quindi partire, attraverso specifiche iniziative, un’ulteriore riflessione in questo campo?