Affacciandomi a questo nuovo e appassionante incarico che il vescovo Andrea mi ha assegnato, ho la possibilità di scoprire ogni giorno quanta ricchezza c’è in questo nostro mondo Caritas».
Sono schiette e corroboranti le parole che don Armando rivolge alla platea degli oltre 70 delegati e volontari Caritas che si sono dati appuntamento sabato 9 marzo a Perignano, per un incontro di formazione sul vangelo della Misericordia. Eravamo presenti anche noi della redazione de «La Domenica». Abbiamo tratto dalle intense parole di don Armando alcuni appunti che offriamo ai nostri lettori in tutta la loro immediatezza e fragranza: «Se non vogliamo banalizzare i problemi delle persone in difficoltà che a noi si rivolgono, occorre tornare a riflettere sul modo in cui ci percepiamo come cristiani e quale idea di Dio abbiamo nella nostra testa. Bisogna fare giustizia di tutte le proiezioni improprie di Dio che abitano il nostro mondo psichico. Le persone con cui abbiamo a che fare come Caritas non certo sono sempre facili, ma su questo fronte ci soccorre l’esempio di Madre Teresa che, tra le varie raccomandazioni alle sue suore, dava la consegna ineludibile dello stare di fronte ai poveri come davanti a Gesù eucaristia». «Perché Gesù è stato eliminato dal potere politico-religioso? Perché contestava in modo intollerabile un orizzonte mentale che aveva imprigionato Dio in un codice sterile di norme e comportamenti. Anche noi rischiamo di smarrire il nostro personale rapporto di freschezza col vangelo ogni volta che ci appiattiamo sulle norme». «Nelle nostre Chiese sopravvive un virus molto pericoloso, per il quale se qualcuno è titolare di un servizio, quello diventa anche il suo regno e la sua rendita di posizione».
“Una delle note più evidenti della errata immagine che abbiamo di Dio, si registra nella crisi della confessione. Di Dio abbiamo ereditato un’immagine giudiziaria che proviene dai dieci comandamenti. Questo tipo di riferimento concettuale, della divinità che punisce il malvagio e premia il giusto, poteva andar bene per il popolo di Israele ma viene superata in Gesù che rompe con questo paradigma. Se vogliamo cogliere il cuore di Dio su questo tema abbiamo il testo inequivocabile della parabola del Padre misericordioso dal vangelo di Luca”. “La gioia di Dio è perdonare. Tutto il cristianesimo risiede in questo. E il modo in cui Dio ci giudica è dare la sua vita per noi. Il nostro peccato genera la sofferenza di Dio, ma non perché questo offenda Dio, ma piuttosto perché questo intacca la nostra dignità e Dio da innamorato pazzo della sua creatura soffre per la nostra immagine deturpata. Il peccato allora è Dio che piange la nostra infelicità”.
“Noi dovremmo sentirci assediati, quasi braccati da questa misericordia del Padre, che è così infinita che potremmo per paradosso approfittarcene. Dio non è giusto, Dio è innamorato di noi! Se cogliamo questo, avremo colto la radice del cambiamento di mentalità che come discepoli di Cristo ci è chiesta. Dobbiamo allora rinunciare all’idea di un Dio che punisce chi sbaglia; si tratta di una caricatura della divinità che esiste solo nelle nostre proiezioni umane. La crisi della confessione come sacramento nasce proprio da questo orizzonte mentale, dall’idea di un Dio pubblico ministero che nell’esattezza della valutazione del reato, misura l’esattezza della pena da comminare. La confessione è al contrario l’invito a una possibilità di futuro diverso”. È questa la grande “magia” del cristianesimo e per meno di questo non vale la pena starci.