La figura del Sommo Poeta aleggia tra le vie di San Miniato: dal luogo dove viveva messer Barone Mangiadori che partecipò con lui alla battaglia di Campaldino, alla rocca federiciana, che una radicata tradizione vuole esser stata la prigione di Pier delle Vigne, collocato dal poeta nel girone dei violenti contro se stessi.
La figura di Durante degli Alighieri aleggia, anima impalpabile, tra le vie di San Miniato. Gli indizi storici che legano la figura di Dante, contrazione di Durante, a San Miniato sono principalmente due. Il primo indizio che ci porta sulle tracce di Dante è legato alla battaglia di Campaldino e questo riferimento viene evidenziato su una iscrizione che possiamo leggere percorrendo la via che scende verso la piazza Buonaparte. La lapide che recita: «Qui fu il palagio distrutto dal furor di parte di Messere Barone Mangiadori franco ed esperto cavaliere che col braccio e col consiglio potentemente cooperò alla vittoria di Campaldino ove combattè Dante. Nel VI centenario della morte dell’Alighieri. Il Municipio». L’iscrizione venne apposta dal Municipio nel 1921, in occasione della ricorrenza del sesto centenario della morte dell’Alighieri, cioè cento anni fa. Lì sorgeva il palazzo della famiglia Mangiadori e quella strada si chiama proprio via de’ Mangiadori. Il fatto di dedicare una via o una piazza al nome di una famiglia è un rispetto che la città di San Miniato ha dedicato solo ai Buonaparte, ai Grifoni e ai Mangiadori.
Osservando questo luogo notiamo che nessuna costruzione ha preso il posto dove un tempo sorgeva il palazzo dei Mangiadori «distrutto dal furor di parte» (distruzione successiva ai tempi di Messer Barone). Ancora oggi è questo uno spazio vuoto, una ferita aperta, una cicatrice formata da un insieme di orti e terrazzamenti che si apre sulla via pubblica distanziando gli edifici del centro. Quasi a voler rispettare e a evidenziare con il vuoto la presenza dei Mangiadori nel centro storico di San Miniato. Chi era Barone de’ Mangiadori? Sappiamo che Barone Mangiadori nasce a San Miniato al Tedesco intorno alla metà del XIII secolo in una delle famiglie più importanti. La sua è una ascesa politica e militare di tutto rispetto. A circa trent’anni è podestà a San Gimignano, poi a Colle Val d’Elsa, poi a Prato, diviene Capitano del Popolo a Siena e successivamente a Volterra. Ebbe incarichi anche nella sua San Miniato. I nomi di Barone Mangiadori e di Dante Alighieri, come abbiamo detto, sono legati alla battaglia di Campaldino. Barone e Dante erano parte della stessa Lega Guelfa che l’11 giugno 1289 si scontrò con i ghibellini di Arezzo. È stata una battaglia importante per l’espansione di Firenze in Toscana.
Alla battaglia Barone Mangiadori può avere un’età tra i quaranta e i cinquant’anni, mentre Dante è un giovane di 24 anni appena compiuti. Il Mangiadori è a capo di un esercito di cavalieri e fanti senesi. L’Alighieri partecipò alla battaglia come cavaliere nell’esercito fiorentino, come scrive lo storico Alessandro Barbero nella sua recente biografia di Dante. Ci sono poi vari punti nella Commedia dove Dante scrive versi riferibili alla battaglia di Campaldino come nel Purgatorio (V, 85-129). Il Mangiadori da parte sua contribuì non poco alla vittoria dei fiorentini, suo è il famoso discorso fatto alle truppe fiorentine, riportato da Dino Compagni in Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi: «Signori, le guerre di Toscana si soglìano vincere per bene assalire, e non duravano e pochi uomini vi morivano, ché non era in uso l’ucciderli. Ora è mutato modo, e vinconsi per stare ben fermi. Il perché io vi consiglio che voi stiate forti, e lasciateli assalire». Questo consiglio di lasciare che siano gli aretini ad assalire, come ricorda il Compagni, gli vale parte del merito della vittoria fiorentina. Sarebbe opportuno dedicare a Barone Mangiadori uno studio e una rivalutazione approfondite, ma qui basta il saperlo protagonista di gesta insieme a Dante Alighieri. Giovanni di Lemmo da Comugnori nelle Cronache ci informa che Barone de’ Mangiadori muore a San Miniato il 28 agosto 1314. Dante, come sappiamo, morirà a Ravenna nel 1321.
Altra suggestione dantesca ci viene nel secondo indizio storico che lega il nome di Dante a San Miniato e che si trova proprio nella Commedia e ne è simbolo la Rocca con la torre di Federico II. Alla base della torre di Federico II incisa su di una masso è riportata la terzina finale del racconto di Pier delle Vigne. Nel XIII canto dell’Inferno Dante, incontra l’anima «fatta sterpo» del cancelliere imperiale Pier delle Vigne. La vicenda storica del Delle Vigne è affascinante. È la vicenda di un uomo politico e letterato (anche Dante è stato uomo politico e letterato), che dapprima diviene amico di Federico II e suo cancelliere imperiale e poi cade in disgrazia, incarcerato e torturato. San Miniato nella prima metà del XIII secolo è uno dei capisaldi del Sacro romano impero germanico. La roccaforte di San Miniato diviene uno dei luoghi nei quali Pier delle Vigne venne tenuto prigioniero e certamente torturato e accecato. Secondo alcuni storici vi avrebbe trovato la morte nel 1249, sbattendo violentemente la testa nelle mura del carcere. Questa storia destò all’epoca grande scalpore. Dante aveva ben chiara la sua vicenda, tanto che gli dedica un canto dell’Inferno dopo sessanta anni (circa) dall’accaduto. Mette Pier delle Vigne all’Inferno non perché traditore ma perché suicida, e chiude il racconto del cancelliere con la famosa terzina dove lo scagiona dall’infame accusa di tradimento: «L’animo mio per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir di sdegno, ingiusto fece me contro me giusto».
Dante immagina un luogo dove le anime hanno la forma e la consistenza di alberi contorti. La vicenda del cancelliere imperiale caduto in disgrazia è stata rappresentata da molti artisti come Sandro Botticelli, Gustave Dorè, e anche dal nostro Dilvo Lotti che ha sempre unito le sue doti di pittore all’amore per la sua città. Dilvo dedica all’incontro tra Dante e Pier delle Vigne due dipinti e ambienta l’incontro tra gli alberi ai piedi della Rocca. dove fu effettivamente incarcerato, torturato e dove forse anche morì. È questo senz’altro l’indizio che più fortemente lega l’Alighieri a San Miniato.
La presenza impalpabile di Dante continua a apparire in altri modi tra le vie del centro. Ad esempio lo spazio dove si svolge il mercato settimanale si chiama piazzale Dante Alighieri. Dalla piazza del Popolo si entra in un vicolo che si chiama vicolo dell’Inferno che in fondo gira a sinistra a novanta gradi prendendo il nome di vicolo del Purgatorio. A questo punto mancherebbe la via, o vicolo, del Paradiso che potrebbe essere riscontrabile con il vicolo carbonaio che ancora oggi dalla piazza del Popolo costeggia l’antico convento di San Domenico e scende verso la luminosa campagna: la via Angelica. Lungo la via Angelica si aprono antiche cappelle con affreschi importanti del XIV secolo. In quella dedicata a Sant’Urbano sono riemersi, sotto una Via Crucis nel XVIII secolo, frammenti di quella che era la grande scena di un Giudizio Universale. Dai vari frammenti che emergono si riconoscono chiaramente alcuni demoni che puniscono le anime. Suggestioni dantesche. Poi ci sarebbe anche una leggenda: la leggenda della Valletta dei Poeti… ma questa è un’altra storia.