Don Luis Solari, originario di Buenos Aires, saluta la parrocchia di Marcignana per accogliere la sua nuova missione a La Rotta. In questa intervista racconta il percorso che lo ha portato al sacerdozio, il forte legame con l’Italia e il profondo influsso nella sua vita di figure come Giovanni Paolo II e papa Francesco. Rivela le sfide pastorali che si prepara ad affrontare nella nuova comunità, ispirato dal Vangelo di Matteo e da un’attenzione costante all’interiorità umana, radice condivisa anche con suo fratello, pittore affermato.
Don Luis Solari, 73 anni, originario di Buenos Aires, riveste in diocesi l’incarico di cancelliere vescovile; questa domenica 3 novembre si congeda da Marcignana, dove è parroco dal 2018, per fare il suo ingresso nella comunità di La Rotta.
Don Luis, che vive stabilmente in Italia dal 2005, ha genitori di origine italiane, di Massarosa per la precisione, in provincia di Lucca: «In famiglia fin da piccolo– ci dice – sentivo parlare sempre dell’Italia e dei parenti che avevamo qui. Perfino il ricordo degli aneddoti di paese costellava il racconto che i miei genitori facevano della loro terra. Sono venuto stabilmente in Italia una prima volta dopo l’ordinazione sacerdotale, negli anni ‘91-’92, per studiare Sacra Scrittura a Roma. Ne approfittavo per venire spesso in Toscana, a Massarosa, per conoscere parenti, persone e luoghi raccontati dai miei. Il parroco di Massarosa mi alloggiava in canonica, e io gli davo una mano con le confessioni e le Messe. In seguito quel parroco venne nominato vicario generale dell’arcidiocesi di Lucca, e al suo posto arrivò don Fausto Tardelli, proprio colui che alcuni anni dopo sarebbe stato nominato vescovo della nostra diocesi. Alla luce di questa conoscenza, nel 2004 chiesi proprio a monsignor Tardelli di fare un’esperienza pastorale in Italia nella diocesi di San Miniato, dove poi sono stato definitivamente incardinato».
Qual è stato il cammino che l‘ha portata al sacerdozio?
«Il mio percorso è stato molto simile a quello di tanti giovani: anche per me la Cresima è stato il sacramento del congedo; in età matura ero ormai divenuto un non praticante. Il ritorno di fiamma – ma direi proprio il colpo di fulmine verso Gesù Cristo – arrivò sul posto di lavoro, dove un collega che frequentava i Testimoni di Geova tentò di conquistarmi con le sue idee. Ma, sia perché allora non avevo le adeguate conoscenze per confrontarlo, sia perché non ero interessato al suo discorso, lasciai cadere i suoi inviti e stimoli. Tuttavia quell’incontro svegliò in me la curiosità per il vangelo, Decisi allora di tuffarmi nella lettura sistematica del vangelo di Matteo. Leggere però non mi bastava… Incominciai pertanto a riflettere e poi a meditare quanto leggevo. Il passo successivo, come il figliol prodigo, fu quello di tornare nella mia parrocchia d’origine a Baires. Il parroco era un sacerdote italiano di origine calabrese. Rapidamente attinsi da lui il grande amore che aveva per la Chiesa e le missioni. Ormai era cambiato qualcosa in me e definitivamente: sentivo la chiamata alla vocazione sacerdotale. Mi trovai allora un direttore spirituale, il quale era anche un grande predicatore degli esercizi spirituali di Sant’Ignazio. Figura, quella ignaziana, che da allora è rimasta decisiva nel mio percorso. E infine ciò che ha coronato e segnato la mia spiritualità è stato il pontificato di Giovanni Paolo II».
Quanto è stato importante il suo magistero per la sua formazione?
«L’Argentina è un paese di immigrati e il vescovo della diocesi in cui ho fatto il seminario – proprio durante il pontificato di Giovanni Paolo II era figlio di immigrati polacchi. Con quel vescovo ci siamo formati nel magistero e nella spiritualità di papa Wojtyla, così carismatico, così profondamente umano, orante e mariano. Direi che tutto ciò è stato capitale per la mia formazione».
Argentino e sacerdote, in Italia al tempo del pontificato di papa Francesco. Che effetto fa?
«Effetto molto positivo… anzi è un vero dono di Dio. L’Argentina è una patria, ma è parte – secondo anche le suggestive parole del Papa – di una patria più grande ancora che è l’America Latina. Proprio questo sta insegnando il Santo Padre, con i gesti e con la vita: che il nostro lacerato mondo, ha nella Chiesa una vera casa comune per tutta l’umanità».
Qual è il bilancio che si sente di fare dopo tanti anni che è nel nostro Paese?
«Il bilancio è molto soddisfacente, sia dal punto di vista personale, che pastorale e sacerdotale. Qui ho approfondito moltissimo la comprensione delle mie radici culturali, la conoscenza dell’arte e dei luoghi sacri d’Italia e d’Europa. La vicinanza di Roma, cuore della Chiesa, ha rinforzato il mio sacerdozio. In Argentina, nella terra alla “fine del mondo”, come dice il Papa, i battiti della Madre Chiesa forse non li avrei percepiti così chiari come qui».
Dopo quasi sette anni di servizio pastorale quale eredità spirituale e comunitaria sente di lasciare ai parrocchiani di Marcignana?
«Sento di poter dire che in questi anni ho cercato di mettermi al loro fianco per camminare insieme a loro, stimolandoli sempre di più a divenire una comunione di persone. Se posso dire, il mio riferimento sono stati gli Atti degli Apostoli, quando nei primi capitoli si racconta che i pagani si convertivano vedendo come i cristiani si amavano e si aiutavano tra loro. Ho tentato di vivere in armonia e carità con la mia parrocchia. Quando si riesce a vivere questa carità, questo amore, si crea la base che attira anche chi è lontano. Da un punto di vista comunitario ho puntato sull’aspetto della socializzazione, cercando di stimolare l’armonia tra le diverse realtà presenti in paese: parrocchia, Mcl, Arci, ecc. Direi che un grande risultato è stato l’esser riusciti a restaurare e dare nuova vita alla sala parrocchiale teatro, un centro di aggregazione che sta aiutando la comunità a camminare insieme, avvicinando praticanti e non praticanti».
Cosa ha voluto trasmettere alla comunità di Marcignana in occasione del suo saluto finale?
«È stato un momento in cui ho cercato di far capire che – pur nella sofferenza del distacco – un sacerdote vive sempre in obbedienza alla Chiesa e al suo vescovo. Dopo sei anni e mezzo di servizio pastorale non è stato facile lasciare Marcignana, ma sono convinto che in questa disponibilità a rispondere all’invito che mi è stato fatto, risieda una forma di testimonianza, un fidarsi della Chiesa che è madre».
Guardando alla sua nuova missione a La Rotta, quali sfide pastorali e spirituali prevede e quali priorità vorrebbe perseguire?
«Innanzitutto un fatto: il patrono di La Rotta è san Matteo, e il vangelo di Matteo, come raccontavo poco fa, è stato lo strumento che il Signore ha utilizzato per riportarmi alla Chiesa. Questo particolare lo sento come un segno del cielo e un indizio da seguire: come se il Signore mi chiamasse, all’età di 73 anni, a coronare ciò da cui tutto era iniziato tanti anni fa. In questo senso, guardando alla mia nuova missione, direi allora che la centralità va all’annuncio del vangelo. Poi, questo è un tempo in cui la Chiesa ci invita alla sinodalità, ed è mio desiderio tenere a La Rotta uno stile sinodale, vivendo l’ascolto della comunità, per capire quali sono le cose che possono favorirne la sua crescita».
Sappiamo che suo fratello, Pablo Solari, è un affermato pittore, conosciuto e apprezzato anche in ambito internazionale. Considerando l’importanza dell’arte sacra come strumento di catechesi, le chiedo se aver respirato la sensibilità artistica in famiglia l’ha aiutata nel suo cammino sacerdotale? Pensa che l’arte possa essere una risorsa utile per arricchire la formazione cristiana e la crescita spirituale nella sua nuova parrocchia?
«Quando eravamo piccoli mia mamma mandava me, mio fratello e mia sorella a imparare a dipingere. Io non possedevo questo dono, invece si vedeva che mio fratello aveva talento. Sono sempre stato molto vicino a lui e al suo lavoro, mi ha sempre trasmesso le sue idee su come tentava, e tenta, di cogliere l’interiorità delle persone attraverso i colori stesi su una tela. Potrei dire che quello che io faccio nel mio ministero sacerdotale – capire l’anima delle persone – lui lo fa attraverso la pittura. Abbiamo questo indirizzo comune verso l’interiorità e in questo c’è una profonda sintonia tra noi. Lui mi ha sempre detto che se guardavo bene, nei suoi quadri potevo veder rappresentati i vizi e le virtù dell’essere umano: questo è stato un grande ammaestramento di sensibilità per me, che mi ha aiutato sicuramente a cogliere meglio miserie e nobiltà delle persone… Credo che avremo modo a La Rotta di riflettere su come l’arte sacra può favorire, all’interno di una comunità, l’apprendimento del vangelo».
Foto: Don Solari con alcuni giovani della parrocchia di Marcignana e mentre illustra due tele dipinte dal fratello, il pittore argentino Pablo Solar.