Dal 5 all’8 ottobre una delegazione toscana di Caritas e Agesci ha percorso più di 2.000 km per raggiungere la Bosnia. Tra loro anche una piccola pattuglia della nostra diocesi guidata dal direttore di Caritas San Miniato don Zappolini, che sta lavorando alla realizzazione di campi di solidarietà in loco da proporre ai nostri giovani.
Nei giorni scorsi una piccola delegazione della nostra Caritas diocesana, guidata dal direttore don Armando Zappolini, ha portato a termine un viaggio in Bosnia[1]Erzegovina organizzato dal gruppo «Educazione e mondialità» di Caritas toscana. L’intento era quello di mantenere caldo il contatto che oramai da tre decenni – dai tempi cioè della guerra nella ex Jugoslavia – esiste tra le Caritas della nostra regione e la nazione balcanica. Questo viaggio aveva anche la funzione di confermare e rilanciare la presenza della Caritas italiana al di là dell’Adriatico, come anima di numerosi progetti e servizi lì attivati. «Eravamo un gruppo di nove persone – racconta al nostro settimanale don Zappolini -. Oltre alla nostra Caritas diocesana erano rappresentate anche quelle delle diocesi di Massa Marittima e Prato. Facevano parte della nostra delegazione anche due responsabili scout dell’Agesci regionale». Caritas e Agesci hanno infatti stipulato un protocollo di collaborazione all’interno del quale è prevista la possibilità di elaborare e attivare progetti congiuntamente. «È stato un viaggio di breve durata, dal 5 all’8 ottobre, ma estremamente intenso – prosegue don Armando – che ci ha portato a vistare alcune realtà in quella zona particolarmente segnata non solo N dalla guerra, che oramai possiamo dire appartenere al passato, quanto piuttosto dalla presenza di una forte componente di migranti che arrivano dalla rotta balcanica. Una terra oggi fortunatamente connotata anche da una decisa volontà di trattenere i suoi giovani, di infondere loro fiducia dopo che negli ultimi due decenni il Paese era stato dissanguato da un esodo massiccio delle nuove generazioni verso i paesi dell’Europa occidentale. Oggi inoltre la Bosnia è terra che dà una grande attenzione alla dimensione del dialogo interreligioso. In questo territorio piuttosto ristretto, si trovano infatti a convivere tradizioni e religioni molto antiche».
Don Zappolini ci racconta che la prima sosta del viaggio è stata fatta a Banja Luka, nel nord: «Si tratta di una zona caratterizzata dalla forte presenza di cooperazione sociale promossa da Caritas con una grande fattoria – la Livac – che raccoglie lavoro e forma i giovani agricoltori a modi di coltivazioni innovative e biologiche». Questa azienda agricola, in collaborazione con un monastero trappista della città, produce formaggio e birra sostentando in questo modo ben un migliaio di persone che vivono in quella zona. La Livac lavora anche in uno spirito di servizio al processo di pace e di integrazione tra le varie etnie e annovera tra i propri collaboratori anche persone svantaggiate. Il monastero trappista invece continua a coltivare la fede della comunità cattolica in un territorio a totale predominanza ortodossa.
«Il nord del Paese – continua don Zappolini -è caratterizzato anche dal centro di Bihac, uno dei campi profughi verso cui converge forse il più intenso canale migratorio della cosiddetta rotta balcanica, con tutte le difficoltà che questa zona presenta a motivo delle temperature estremamente rigide che connotano qui i mesi invernali. Caritas è impegnata direttamente all’interno dei campi profughi e nello sviluppo di forme di impresa sociale che favoriscano formazione e occupazione utili a ricreare un tessuto economico che permetta ai giovani del Paese di non andare via per lavorare».
Il cuore del viaggio della delegazione è stato però Sarajevo, città martire del Novecento, che porta ancora visibili i segni del terribile assedio degli anni ‘90. A questo proposito: «Nonostante tutto – sottolinea il direttore della Caritas diocesana – si tratta di una città che ha in sé ancora tutta la bellezza di un incrocio di culture e di tradizioni, e dove si cerca di ricostruire con impegno una convivenza. Purtroppo le tre etnie e religioni presenti – musulmani, ortodossi e cattolici – dopo la guerra sono state costrette dalla diplomazia internazionale a vivere ciascuna nel proprio ambito culturale e religioso e questo non facilita il dialogo tra le giovani generazioni. Ciò nondimeno esistono realtà importanti, di significato, come l’associazione “Youth for peace” – promossa da Caritas stessa – attiva in modo importante nel dialogo inter[1]religioso. Per il futuro questo sarà uno dei campi nei quali i nostri volontari potranno dare davvero un bel contributo, imparando le tecniche del dialogo interreligioso.
«In generale Sarajevo è insomma luogo di grande presenza organizzata Caritas. Un centro giovanile, con la presenza dei giovani del Servizio civile Caritas, offrirà a chi verrà dalla Toscana, la possibilità di vivere un’esperienza formativa molto intensa, portando alle popolazioni locali un messaggio di vicinanza e di fiducia. Dopo tanti anni di interventi umanitari e di aiuto per la ricostruzione, ora la sfida nuova è davvero ricucire il tessuto sociale e ridando fiducia alle persone che lì vivono». Ma l’obiettivo principale di questo viaggio era quello di preparare un piano di proposte di campi estivi per giovani e adulti da innestare nell’ordinaria attività che Caritas italiana sta già portando avanti. «Entro Natale verrà proposto un calendario di possibili iniziative. Una di queste figurerà anche come meta nelle proposte del progetto “Le 4 del pomeriggio” del prossimo anno. Ci sarà poi un’ulteriore interessante novità, ma su questa mi riservo di parlare più avanti, quando l’avremo messa meglio a fuoco. Il progetto delle “4 del pomeriggio” si allarga dunque anche a mete internazionali».
In chiusura don Zappolini ci regala una nota emotiva: «Il nostro è stato un viaggio molto intenso, molto toccante; le foto, le testimonianze delle vittime della guerra, la memoria dei 700 bambini morti a Sarajevo, il ricordo delle stragi di Srebrenica, di quelle del mercato di Sarajevo, o «I quella vernice rossa sull’asfalto – sempre a Sarajevo – visibile oggi nei punti dove sono cadute le granate (la tinta rossa indica che in quel punto preciso è scoppiata una granata che ha ucciso qualcuno), sono esperienze che ci hanno segnato e che sono rimaste impresse in tutti noi». Entro Natale, Caritas Toscana presenterà già un primo calendario di proposte concrete. Al viaggio per la delegazione Caritas sanminiatese, oltre al direttore don Zappolini, hanno preso parte anche Elisa Stevanin, Chiara Montanelli e don Luca Carloni.